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Nuovo Corso di Core Counseling

Vuoi diventare COUNSELOR?Per aiutare con competenza e cuore Call di orientamento gratuita per la nuova edizione del corso che inizia ad ottobre ISCRIVITI QUI IL VIAGGIO INSIEME “Con la realizzazione del proprio potenzialee la fiducia nelle proprie capacità,si può costruire un mondo migliore.”Dalai Lama Cresci come Persona e come ProfessionistaDiventa un Esperto della Relazione d’Aiuto! C’è una sola vera scuola, è la Vita! Lei sarà la nostra Maestra in questo viaggio che faremo insieme. Sarà un viaggio per esplorare, conoscere, godere della bellezza del mondo interiore e per raggiungere mete. Avrai delle guide esperte che ti mostreranno il sentiero e ti accompagneranno. Ci saranno anche dei compagni di viaggio con cui condividere questa avventura. C’è una luce calda che illumina  questo sentiero e ti permetterà di liberare, risvegliare e amare parti di te. Lungo il sentiero potrai lasciar andare i pesi dei condizionamenti limitanti e apprenderai l’arte saggia della guida. Tornerai da questo intenso viaggio con occhi nuovi e con un bagaglio colmo di doni, che potrai anche offrire a chi ti sceglierà come guida. Noi abbiamo un sogno: contribuire ad un mondo dove ci sia meno sofferenza e più Saggezza, Pace e Amore. Per realizzarlo cerchiamo di coltivare queste qualità dentro di noi e di operare per il beneficio di  molti. Più siamo e meglio è! Vuoi contribuire alla realizzazione di questo sogno? Per un mondo migliore, a partire da te! Ti offriamo competenze e strumenti utili nella relazione d’aiuto Per informazioni scrivici oppure chiama il 349.3702682 oppure mandaci un messaggio con Whatsapp Obiettivo Diventare Counselor Olistico, con una visione psicoenergetica e transpersonale, per svolgere con competenza e amore la tua professione di aiuto. Il percorso ha l’obiettivo formativo di sviluppare capacità personali, relazionali ed operative utili alla professione del Counselor. In particolare: sviluppare competenze comunicative e relazionali acquisire strumenti professionali utili nelle relazioni lavorative in ambito sanitario, educativo e del benessere apprendere metodologie per attivare risorse, sostenere processi di consapevolezza ed evolutivi fare un percorso di crescita personale e diventare un esperto della relazione d’aiuto  Sono aperte le iscrizioni al nuovo corso di Core Counseling, in partenza dopo l’estate. Se sei interessato/a contattaci e vieni alla presentazione Sei pronto a rivoluzionare la tua vita e a “fare la differenza” nella vita degli altri? INCONTRO DI PRESENTAZIONE GRATUITO ISCRIVITI QUI https://www.youtube.com/watch?v=aZjWp-108Ac https://youtu.be/iGNVb1dpxXg

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Il dolore ineffabile

«Sindrome fibromialgica cronica con dolore alla pressione in corrispondenza di tutti i tender points». L’inequivocabile diagnosi fu pronunciata la vigilia di Ferragosto, inappellabile come una sentenza passata in giudicato. Già in fase di colloquio anamnestico il reumatologo affermò che il mio quadro sintomatico era talmente evidente da non lasciare dubbi e da rendere quasi superflua la visita, che comunque eseguì scrupolosamente, appurando come l’esperienza non l’avesse ingannato. Mi ero presentata nel suo studio di mia iniziativa, indirizzata da una sua paziente fibromialgica, incontrata un paio di mesi prima nella RSA in cui era ricoverata mia nonna; le era bastato vedermi camminare zoppicando, devastata dal mal di schiena, avvolta in un foulard e in un pullover di cotone nonostante il termometro segnasse 35°, con un alone violaceo intorno agli occhi, per comprendere che verosimilmente condividevamo la stessa sorte. Non nutrivo particolare stima nei confronti dei medici, ma dovetti ricredermi quantomeno nei confronti di quell’uomo in camice bianco che, con spiazzante sincerità, affermò di non capire come a nessuno prima di allora fosse venuto almeno il sospetto di quale potesse essere il mio problema.  Con altrettanta schiettezza mi spiegò che avevo appunto una forma seria di sindrome fibromialgica, una malattia invalidante la cui eziopatogenesi era – ed è – sconosciuta, per la quale non esistevano – e non esistono – cure; non sarei mai guarita, tutt’al più ci sarebbero state brevi fasi di quiete apparente, alternate alle crisi alle quali del resto ero ormai abituata. Mi illustrò l’importanza del riposo, della riduzione e gestione dello stress, dell’adozione di uno stile di vita confacente, dell’attività fisica dolce – ricordo che con imbarazzo usò l’espressione «ginnastica per la terza età».  Non fu un fulmine a ciel sereno, in fondo me l’aspettavo, mentirei se sostenessi il contrario. In sala d’attesa avevo avuto modo di leggere su una rivista medica i sintomi principali e quelli cosiddetti collaterali della fibromialgia; mi ero così avventurata in una sorta di gioco che echeggiava grottescamente quello che si faceva da bambini con le figurine: “ce l’ho, ce l’ho, mi manca”. Se quei sintomi fossero stati figurine sarei stata prossima a completare l’album: li avevo quasi tutti. Dolore spontaneo, diffuso e lancinante ai muscoli, ai tendini ai legamenti, sensazione di bruciore, crampi, formicolii, dolore alla cervicale, stanchezza cronica, perdita della forza, contratture muscolari, rigidità, disturbi del sonno, problemi di circolazione con conseguente freddo alle estremità, acufeni, sindrome dell’occhio secco, fotofobia, mal di testa, disfagia, vertigini, gastrite, colon irritabile, cistite abatterica, dispea, dolore toracico, dolore alla mandibola e dolori facciali, tachicardia ed extrasistole, secchezza delle mucose e della pelle, dolore alle mani, parestesie, gola irritata, spasmi muscolari, dolore ai seni nasali come in caso di sinusite, prurito, intolleranze e allergie, ipersensibilità a qualunque stimolo esterno (sonoro, luminoso, olfattivo, tattile), spasmi incontrollati degli arti inferiori e superiori, mal di denti e ipersensibilità ai colletti dentari, ansia… la lista potrebbe continuare.   Uscii dallo studio del reumatologo armata di una lettera con scritta nera su bianco la diagnosi, accompagnata dalla prescrizione di medicinali che denunciavano l’inadeguatezza della medicina di fronte a tale sindrome: antidepressivi, miorilassanti e antiepilettici. Non li comprai nemmeno. Tra le righe mi era stato detto chiaramente che per fare effetto avrei dovuto assumere dosaggi elevati, peraltro difficilmente compatibili con le mie numerose allergie ai farmaci.  Percorrendo i labirintici corridoi che mi condussero di nuovo all’aria aperta, passai mentalmente in rassegna tutte le visite alle quali mi ero sottoposta, tutti i medici che mi avevano visitata – in alcuni casi sarebbe più corretto dire vista – nel corso degli anni. Peregrinazioni inutili sfociate in una serie infinita ed estenuante di umiliazioni. A prescindere dai disturbi fisici che avevo sopportato fino a quel momento, mi resi conto di quanto male mi avesse creato l’atteggiamento di superiorità e sufficienza mostrato dai sedicenti professionisti che avevo avuto la sfortuna di incontrare, di quanta sofferenza mi avessero creato la loro mancanza di empatia, la loro incapacità di ascoltarmi veramente, la superficialità con la quale avevano liquidato i miei sintomi. Per loro ero semplicemente “un’artista della somatizzazione”, una sorta di visionaria che nell’incapacità di gestire situazioni quotidiane e stimoli stressanti li trasformava in sintomi fisici. Come solitamente avviene nel caso di pazienti fibromialgici, clinicamente non vi erano alterazioni rilevanti a livello ematico, radiografico, ecografico, neurologico, perciò nessuno si era mai preso né il tempo né la pena di dedicarsi a una diagnosi differenziale, era sempre stato più facile liquidarmi, cercando di convincermi che il problema ero io. Alla fine persino i miei familiari avevano smesso di credermi, la stanchezza cronica veniva scambiata per pigrizia, per mancanza di volontà, mentre gli altri disturbi erano solo e soltanto «paturnie». Arrivai inevitabilmente a convincermene almeno in parte io stessa, tant’è che per la paura di essere giudicata e per dimostrare che non ero una scansafatiche mi sottoponevo a sforzi e a ritmi di vita insostenibili.  Salendo in auto mi apparve chiaro che fino a quel momento mi ero scontrata contro un muro di inettitudine, ma che cosa sarebbe cambiato? Avevo una diagnosi: come avrei dovuto e potuto affrontare il futuro? Il primo passo da compiere mi sembrava evidente: cambiare sia il medico di base, sia il medico che mi seguiva privatamente da anni a causa della scarsa professionalità del primo. Non che fossero incompetenti o impreparati in senso assoluto, non stava – e non sta – a me giudicarlo, ma la loro visione nei miei confronti era stata distorta, il loro atteggiamento non sarebbe di certo mutato e comunque il rapporto di fiducia esistente – per quanto estremamente precario – si era spezzato.  Confesso che rabbia, sconforto, senso di impotenza, sfiducia offuscarono a lungo il mio sguardo e le mie giornate. Mi sentivo come don Chisciotte nella sua strenua e vana lotta contro i mulini a vento. Era – ed è tuttora – maledettamente difficile spiegare la sofferenza celata dietro la fibromialgia; mi sentivo – e a volte mi sento – invisibile, perché sapevo che le persone che mi circondavano in cuor loro non smettevano di credere che in fondo

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Come ho cambiato vita

La mia vita si divide tra lavoro e lavoro. Non so chi sono. Ho dolori ovunque, prendo medicinali, ma non mi fermo. Devo aprire il bar domani. Mi dico: “se no come faccio? E i conti sono in rosso e l’affitto e i debiti e cosa penseranno di me i miei genitori…” E la mia ragazza. Da quanto non parliamo, da quanto non la ascolto, da quanto non mi ascolto?  Sento che l’ansia mi prende e stringe forte il petto. Piango, la mattina mentre vado al lavoro e la sera prima di addormentarmi. Sono stanco, dormo 5 o 6 ore a notte. Un giorno la mia ragazza mi guarda e dice cosa hai sulla lingua? Cosa sono quei pallini bianchi? Poi l’operazione, la paura, l’impotenza. Il non poter fare niente, come se fossi uno spettatore della mia vita. Tutto bene: operazione riuscita, ma il resto dei problemi c’è, e pesa! Mi rendo conto di essere in burn out. O meglio, i miei genitori mi fanno sedere ad un tavolo con la mia ragazza e io scoppio in lacrime. Mi rendo conto che non posso andare avanti così, devo allentare la presa, devo prendermi cura di me e della mia vita, dei miei affetti. Così alla mia ragazza capita in mano un libro che parla di meditazione, e poi un incontro speciale con Amma. Comincio a meditare. Comincio a cercare la mia strada. Dopo vendo l’attività e trovo un altro impiego. Piano piano cerco di rimettere insieme i cocci della mia vita, la meditazione mi ha aiutato, ora sento un contatto con me, anche se lieve, come una guida che cerca di farsi comprendere e che io raramente riesco ad ascoltare appieno. Sento che dentro me c’è molto e che spesso non lo comprendo, decido che forse è tempo di ascoltare realmente cosa ho dentro. La meditazione mi aiuta moltissimo, ma fermarsi soltanto a quel punto non mi porta crescita, decido di iscrivermi al corso di Core Counseling dell’associazione MoviMente. Neanche sapevo cosa fosse. Non avevo idea che la relazione d’aiuto potesse aiutare così tanto me stesso in primis e poi gli altri. Così un po’ spaesato telefono, chiedo un colloquio. Sono sincero: dico che non so nulla su cosa facciano e che non ho la minima esperienza, medito soltanto e decido di essere qua solo per seguire quella vocina interna che tanto ho ignorato. Ho trovato persone accoglienti e professionali. Fin dal primo colloquio sento che chi ho di fronte sente quello che sto dicendo, mi ascolta e comprende con il cuore. Non solo parole in quell’incontro, anche un lungo silenzio, con uno sguardo aperto sui nostri cuori. Mi ha profondamente toccato. In quel preciso momento ho capito che la strada era quella giusta. Non intendo che sarà o meno la mia professione, intendo dire che sono al posto giusto per la mia crescita personale, per sentirmi, per imparare a prendermi cura di me . Dopo un anno e mezzo di corso mi sento grato per aver permesso l’ ascoltarmi. Mi sento onorato di far parte di quel gruppo di persone che cercano di cambiare il proprio mondo. Vedo i cambiamenti in me e nei miei compagni di gruppo, mi riempie di gioia. Oggi più che mai, ho bisogno di guardarmi dentro e avere ben chiaro i miei intenti. La cosa più bella é che non servono prerequisiti speciali. Ho già tutto quello di cui necessito! Sebastiano

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Questa mattina ho danzato

Questa mattina, domenica 22 marzo 2020, ho danzato. Avevo scelto queste tracce musicali (in gran parte donatemi da Mario tempo fa), per farne una sequenza di movimento libero; ognuna di esse esprime un’energia unica, che se la si lascia entrare nel corpo, nell’anima, si esprime in un movimento, una danza appunto. Questa pratica me l’ha insegnata Elena Mazzoleni nei gruppi di MoviMente che ho frequentato per tanti anni, e che non smetterò mai di ringraziare. Noi siamo uniti corpo-anima-mente, ogni cellula “pensa”, ed ogni pensiero si traduce nel corpo. Di quel corpo di cui ci dimentichiamo spesso, almeno fino a quando non ci arriva qualche segnale o disagio.. E la qualità di quel movimento, (non di performance), mi connette a parti di me, unite nel corpo e nell’anima, e non dirette dalla testa. E queste parti si uniscono ad altre fuori di me, diventando di volta in volta, immagini, preghiere, sentimenti come la gratitudine, e molto altro. E che, sono convinta, siano curative. Mi sono arrivate spontaneamente visualizzazioni di protezione verso coloro che sono ammalati ed impauriti, verso tutti coloro che stanno aiutando gli altri, verso i miei cari. E immagini di elementi della natura che trasformano, ma necessitano del loro spazio, lo richiedono con urgenza: una terra che nutre, che si sta svegliando alla primavera, brulicante di vita; un’aria pulita, viva, ventosa, che porta nubi grandi e non si ferma; acqua che scorre, che lava, che disseta; e fuoco, tanto fuoco che riporta tutto alla cenere, alla rinascita. Una immagine mi ha commossa: il fuoco che sta bruciando tanti corpi riportandoli a puri elementi , e questi che ricadono sotto forma di piccole luci sui propri cari, sul mondo, ricordandoci che non è tutto finito, ma che ci dovremo ricordare di ogni riflessione fatta, di ogni lacrima, di ogni goccia di sudore, di ogni solitudine e pensiero cupo. Con una musica, e sdraiata a terra, ho visto il mio corpo che si univa alla terra con una infinità di radici giovani, e io fatta di erba e fiori. In un’altra mi sono vista circondata da una natura prepotente, rigogliosa, che mi circondava, cresceva intorno a me rendendomi più piccola; sotto il manto della  terra gallerie  percorse da piccole creature, e sopra ad essa, grandi creature per nulla minacciose. E con me, i miei cari, amici, e sconosciuti che come me si trovavano in quella insolita riunione. Ogni musica esprime un sentimento, una emozione che sono diversi a secondo del brano, ma anche per la sensibilità di ognuno di noi. E da ultima la marcia dei marines: portentosa per me nel suo “alleggerire” nonostante sia una marcia appunto. E con questo auguro una buona giornata, uniti del dolore e nella speranza. Elena Comotti Ringraziamo Elena Comotti per aver saputo aprire ed ascoltare il suo cuore e per aver condiviso questa sua esperienza di movimento del Core Counseling

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Il Perdono

Il perdono É possibile perdonare completamente? Quando si accetta profondamente la vita,non c’è nulla da perdonare, perché si guardano gli eventi accadere secondo la loro stessa legge.Non ci sono eventi indipendenti nel cosmo, nessun autore di azioni, nessuna responsabilità; quindi non c’è nessuno da perdonare, perché non c’è nessuno.Pensare di essere un’entità indipendente è una memoria, tutto ciò che succede è correlato al tutto. Tutto ciò che accade al vostro corpo fa parte delle leggi cosmiche, non c’è nulla di separato.L’idea di perdonare o di rimproverare qualcuno non serve a nulla.Quello che un tempo vi è sembrato difficile, inaccettabile, vi apparirà prima o poi come la chance della vostra vita, il momento più importante.Quello che vi ha più fatto maturare di più, la cosa che vi ha fatto capire l’identificazione e i limiti sono stati i drammi della vostra vita. Nella misura in cui li lascerete vivere completamente, essi punteranno verso la libertà, verso la gioia.A differenza delle sessioni di meditazione intenzionale, che spesso sono solo una fuga. Quando vi capita qualcosa di drammatico e lasciate vibrare lo shock dentro di voi, è come se riceveste un regalo.Bisogna lasciarlo vivere. A volte, è vero, non si ha la maturità per farlo, ma ad un certo punto si può gioire e amare dei regali che si sono ricevutie lasciare vivere tutte le memorie che costituiscono la vostra corporeità.Perché la situazione che si vuole perdonare o meno, si è incuneata da qualche parte nel corpo.Sdraiatevi e amate quella parte del corpo che è stata trascurata, rimandata, evitata per così tanto tempo. Lasciate che la tensione si esprima senza condannare o giudicare.Restate davanti ai fatti.Queste parti hanno molto da dire.Un grande grido di gioia si libererà dal corpo: guarderete la situazione per scoprire che la presunta causa della tragedia non è mai stata la causa.La Causa non è mai esistita. Éric Baret MoviMente / FB

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Ama il prossimo come te stesso

ama Devo ammettere che ho iniziato il corso di Core Counseling con molto poca umiltà, come se mi fossi iscritta per trovare conferma di ciò che già conoscevo, in seguito ad un mio precedente percorso personale, e non avessi più molto da imparare. Ero anche piuttosto infastidita dall’essere parte di un gruppo, dal momento che ho sempre evitato il “branco”, perché mi dava l’idea di gregge, di omologazione e di aspettative tipo “do per scontato che la pensiamo tutti allo stesso modo”. Sono quindi partita decisamente in chiusura, però ho deciso di continuare per uscire dalla mia “tana”. Ricordo di aver proprio pensato: “Se lascio, non avrò molte altre occasioni di conoscere persone nuove e diverse, e io e la mia vita saremo sempre le stesse”. Io ho sempre amato le novità e i cambiamenti, perché sono molto curiosa; mi sono anche spesso ficcata in situazioni strane per il gusto dell’avventura, ma di contro a volte sono piuttosto pigra e timorosa, quindi devo farmi un po’ di violenza per uscire dalla mia comfort zone. Ora sono molto contenta di aver fatto quello sforzo, perché in realtà ho imparato un sacco di cose nuove che mi stanno aiutando molto a migliorare la qualità della mia vita. Innanzitutto, rispetto al gruppo, ho capito una cosa importante. All’inizio io non sentivo di appartenervi, nonostante tutti fossero molto gentili e accoglienti con me; quindi ho compreso che il senso di appartenenza non mi viene dagli altri, ma da me stessa, nel momento in cui io decido di aprirmi e di appartenere. Inoltre, ho visto che era una mia fragilità quella di pensare di non poter essere me stessa in un gruppo; nessuno mi vieta, infatti, di esprimermi e di esporre le mie idee, se io ho la forza e la sicurezza di sostenerle. La mia esperienza era sempre stata quella di dover soccombere alla maggioranza; ma è anche vero che ho sempre visto due sole possibilità: o stare completamente in armonia o abbandonare. E qui arriviamo al lavoro sui bisogni e le richieste, che ho imparato al corso. Mi sono resa conto che io non esprimevo i miei sentimenti e i miei bisogni in maniera adeguata tanto da risultare comprensibili agli altri né tanto meno da poter fungere da confini. Un qualsiasi disagio io lo esprimevo o fuggendo o aggredendo o tutt’e due le cose insieme. Per mia esperienza i compromessi non erano nemmeno pensabili. Studiando la comunicazione non violenta e consapevole, sto vedendo che ci sono altre vie. Soprattutto la parte relativa ai bisogni è stata per me una novità! Io ero sì in grado di sentire cosa provavo, ma o ero ferma al giudizio mascherato, per cui mi sentivo “abbandonata, incompresa, ignorata, non vista etc…” e quindi senza speranza, perché messa così il tutto dipendeva dagli altri che mi “capissero, vedessero etc…”. Oppure, anche se riuscivo ad andare oltre, non convertivo mai il tutto in un bisogno. Ad esempio, in seguito ad una chiusura da parte di qualcuno io mi sentivo abbandonata; da lì mi dicevo “ok se sono abbandonata cosa sento? Che ho paura perché sono da sola e non posso farcela”. Ma non sapevo che ciò corrispondeva ad un bisogno di sicurezza (che sicuramente non è stato colmato da piccola, ma che ora posso soddisfare io stessa). Ora quindi parto dal giudizio mascherato, mi sposto sul sentimento vero che riguarda solo me, cioè “triste, sola, impaurita, indifesa…”, e posso pormi la domanda “cosa posso fare IO per non sentirmi così? Quale bisogno devo soddisfare? Attraverso quale strategia?”. In questo modo ho scoperto che alla fin fine molti bisogni possono essere soddisfatti all’interno di me. Ma è ben diverso da come facevo prima quando, per reazione al fatto che non ottenevo dagli altri ciò di cui avevo bisogno (inconsapevolmente tra l’altro), mi chiudevo e dicevo: “Mi arrangio da sola” (tanto da sentirmi Wonder Woman). Come contraltare ai giudizi negativi, mi sforzo (intanto non mi viene ancora molto spontaneo) di ascoltare e accettare le ragioni degli altri. Notare che per lavoro spesso devo dire dei “no” a bambini con comportamenti problematici, che ovviamente rispondono con rabbia e violenza!!! E infatti mi son sempre detta: “Brava, predichi bene e razzoli male!”. Questo lavoro sui bisogni mi sarà pertanto molto utile anche nel lavoro. Studiando la comunicazione non violenta, mi sono resa conto che io ho davvero un serio problema di gestione della rabbia. Ho sempre pensato di essere “avanti” perché io ero in grado di esprimerla (anche se non adeguatamente, come ora so); del resto per me era normale, perché nella mia famiglia usare toni di voce elevati e mandarsi a quel paese è all’ordine del giorno. Certo forse è meglio esprimerla così che reprimerla o non avvertirla proprio, ma io ritenevo i miei modi, che in realtà sono violenti, manifestazioni di un carattere passionale e focoso. Probabilmente non sarò mai pacata e posata, perché il mio temperamento è tutt’altro, però immagino che si possa essere contemporaneamente passionali e non violenti! Ora sto imparando ad avvicinare gli altri senza l’aspettativa che debbano soddisfare i miei bisogni. Faccio ancora molta fatica ad accettare i “no” e a tollerare la frustrazione che ne consegue. Di solito quando succede provo rabbia e la mente inizia a produrre una serie infinita di giudizi negativi. Quindi ora mi sforzo di stare con la rabbia (e di fare un bel respiro contando fino a….mille?), lascio scorrere i giudizi negativi, cerco di rintracciare il bisogno non soddisfatto e, se non sono possibili strategie alternative, resto in presenza amorevole anche con il dolore e la frustrazione di non poterlo colmare, almeno per quel momento. La Mindfulness mi ha aiutato molto ad osservarmi. Grazie al mio precedente percorso ero già allenata a sentire e a stare con ciò che accadeva dentro di me (pur con i limiti suddetti), ma lo facevo solo in presenza di un’emozione. Ora, invece, sempre più spesso nell’arco della giornata mi osservo, anche senza un motivo particolare, ma per il solo scopo di sentire che PROPRIO IO

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Sogni e realtà

sogni « Che ne è stato dei sogni di quando eravate bambini?»  È stata proprio questa domanda ad attirare la mia attenzione sfogliando una rivista francese di psicologia. Come non fermarsi a riflettere, non interrogarsi, non frugare nei meandri più reconditi della memoria – o forse del cuore – alla ricerca di quei sogni? Come non chiedersi se si sono realizzati o se, al contrario, sono rimasti accuratamente riposti sul fondo di un cassetto? La forza di quei sogni era tale da pervadere il corpo intero, sollecitare tutte le energie; che sensazioni suscitavano queste visioni oniriche a occhi aperti? Felicità, libertà, appagamento. Tutto sembrava possibile, persino diventare astronauti, famosi ballerini, attori, scrittori, sommozzatori… Non c’erano limiti.  Che sorte è toccata a quei sogni, o meglio che cosa ne abbiamo fatto? In che cosa si è trasformato l’entusiasmo con il quale annunciavamo che da grandi avremmo attraversato il Pacifico in barca a vela, visitato il Buthan in sacco a pelo, acquistato un cavallo, scoperto un’altra piramide, trovato la cura per una malattia rara?  A ben vedere qualche piccolo desiderio si è avverato, magari non siamo diventati esploratori, ma ci siamo concessi una vacanza avventurosa; non siamo diventate étoiles del balletto, ma abbiamo frequentato con piacere corsi di danza. Attimi di vita in cui il nostro bambino interiore ha gioito con soddisfazione dicendo «Ce l’ho fatta».  Magari alcuni di noi hanno avuto la caparbietà e quel pizzico di fortuna in più e sono oggi l’avvocato, l’interprete, il chirurgo che avevano sognato di diventare. Altri, al contrario, si sentono spettatori della propria vita: dissuasi dai familiari, disillusi dalle circostanze, obbligati dalla situazione economica o in nome di una presunta razionalità hanno intrapreso strade diverse da quelle che avevano creduto essere destinate loro, e adesso guardando il disegno di un serpente boa che digerisce un elefante non riescono a vedere altro che un cappello. Sono diventati adulti e non ricordano più di essere stati bambini.  L’autrice dell’articolo – una psicoanalista di nome Laurence Lemoine – segnala come «la malattia dell’anima occidentale», già diagnosticata da Carl Gustav Jung all’inizio del secolo scorso, sia ormai ampiamente diffusa: pessimismo crescente, sfiducia nei confronti delle istituzioni e del prossimo, sensazione di non essere giustamente valorizzati, senso di insoddisfazione e frustrazione, percezione di “vivere a metà” e, conseguentemente, voglia di abbandonare tutto e fuggire in un mondo utopicamente ideale.  Sognare un’altra vita o lasciarsi trascinare passivamente in questa?  Penso alla mia vita, agli anni trascorsi, ai giorni presenti, al futuro che deve ancora disvelarsi. Forse la soluzione è legittimare il proprio bisogno di realizzazione interiore, di autenticità. Il fine, la sfida è avere la forza, il coraggio di diventare se stessi – liberandosi dai condizionamenti, dai luoghi comuni, dalle frasi fatte, dalla paura del giudizio degli altri – e seguire le proprie aspirazioni. Ho pensato spesso di aver fallito, di aver sprecato il tempo che mi è stato fino a ora concesso. Per anni sono stata talmente abituata a reprimere i miei desideri, la mia vera essenza, che non ricordo nemmeno più esattamente quali fossero i miei sogni, so solo che avrei voluto realizzare qualcosa di importante come sconfiggere la fame nel mondo, aiutare i bambini abbandonati, dare rifugio a tutti i cani e i gatti randagi, proteggere e ascoltare le persone deboli e indifese… Progetti ambiziosi, utopici.  Se la bambina che fui potesse vedermi, parlarmi, che cosa mi direbbe? Sarebbe contenta di come sono diventata? Riterrebbe realizzati i propri sogni? Probabilmente mi scruterebbe con i suoi grandi occhi sognanti, mi accarezzerebbe il viso disegnandone ogni ruga con le sue dita sottili, scuoterebbe il capo, poi mi prenderebbe per mano e mi inviterebbe a giocare, a saltare, a ballare, a disegnare, a liberare i colori che custodisco dentro di me.  Tempo fa, risvegliandomi in ambulanza dopo aver perso conoscenza in un incidente stradale, rividi in un istante la mia vita: una trentina di anni sfilarono di fronte a me simultaneamente; li guardai a uno a uno, come se solo in quel momento mi fosse stata data la facoltà di comprendere davvero ciò che era accaduto, e mi chiesi quale sarebbe stato il bilancio se la mia vita fosse finita in quel momento. Ci vollero un secondo incidente, un ginocchio fratturato, sei mesi di riabilitazione per convincermi che avevo sbagliato strada e che spettava a me invertire la rotta. Decisi di nuotare controcorrente: mollai il lavoro e ricominciai da zero, iscrivendomi nuovamente all’università…  Non importa se non siamo diventati archeologi, scienziati, se non abbiamo ricevuto un Nobel o non siamo stati a capo di una spedizione in Antartide, se non siamo diventate quelle che ci hanno indotto a credere siano le persone di successo: ciò che conta è cercare la propria essenza e concedersi il diritto di desiderare, di sognare, di essere felici… «Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto» (W. Shakespeare). Velda A. FB counseling

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