Counseling. In cammino verso se stessi

Approdai per la prima volta al Counseling una quindicina di anni fa, o forse più, non ricordo esattamente. Ero in una fase di transizione, caratterizzata da timori e incertezze: laureatami da pochi mesi in un ambito che non mi apparteneva, mi sentivo spettatrice della mia stessa vita, funambola sul sottile filo di un equilibrio personale che mi sembrava di giorno in giorno più precario. Incapace di prendere qualsivoglia decisione, avevo la sensazione di essere sprofondata in una sorta di letargia. Da appassionata lettrice, giunsi a paragonarmi ai tanti antieroi dei romanzi di Italo Svevo: inguaribili romantici, idealisti e sognatori, inadatti a dispiegare le ali e prendere il volo. I giorni mi sfuggivano di mano, le pagine del calendario si sfogliavano con inesorabile rapidità, mentre io rimanevo ferma, divorata dall’ansia, senza sapere in quale direzione compiere il primo passo. 

Ammantata di un grigio pessimismo cosmico, mi presentai al primo appuntamento con colei che sarebbe diventata la mia Counselor senza sapere che cosa aspettarmi. Fu per me come un misterioso incontro al buio: avevo una vaga e perlopiù confusa idea di cosa fosse il Counseling, tuttavia non mi ero volutamente documentata in proposito. Reduce da due estenuanti percorsi di psicoterapia, intrapresi a distanza di qualche anno l’uno dall’altro con due diversi professionisti di orientamento freudiano, auspicavo solo di trovarmi di fronte una persona priva di un taccuino e di una scrivania impolverata, una persona sorridente che non mi scrutasse e non mi chiedesse di ripercorrere tappa dopo tappa un’infanzia che ero quasi certa di aver già scandagliato in lungo e in largo. I miei desideri furono esauditi e cominciai il mio nuovo percorso di crescita. 

Confesso che quando tornai a casa interrogai il web, desiderosa di trovare tutte le informazioni che credevo mi avrebbero permesso di rispondere in modo esaustivo ed efficace alla domanda che di lì a poco mi fu inevitabilmente posta da alcuni amici: «Che cos’è il Counseling?».


Il Counseling affonda le proprie origini negli Stati Uniti dove, nei primi anni del Novecento, alcuni professionisti impegnati in ambito sociale ed educativo decisero di mettersi a disposizione dei giovani, offrendo loro un aiuto nella scelta dell’orientamento scolastico e lavorativo da intraprendere. L’ispirazione di fondo, di evidente matrice filosofica e pedagogica, fu palesata dal sociologo Talcott Parson nell’opera Choosing a Vocation (1909), un titolo eloquente a esprimere il cuore pulsante del Counseling: l’individuazione e la valorizzazione della propria vocazione, attraverso un percorso di conoscenza di sé, della propria motivazione. I Counselors affiancarono poi psicologi e psichiatri allo scopo di aiutare i soldati rientrati dall’esperienza devastante della guerra a ricostruirsi una vita, ricollocandosi nel mondo del lavoro. Il successivo sviluppo del Counseling ne vide l’applicazione in numerosi contesti: lavorativo, scolastico, familiare, di coppia, individuale, sociale. Centrale nella storia del Counseling fu senza dubbio la figura dello psicologo statunitense Carl Rogers, eminente esponente della psicologia umanistica, il quale nell’opera Counseling and psycotherapy elaborò il modello di relazione di aiuto focalizzato sulla persona (client centered therapy) che oggi conosciamo come Counseling. Era il 1942; da allora il Counseling si diffuse in Inghilterra e da lì raggiunse l’Europa continentale, il Giappone, l’Australia e in un’altra quarantina di Paesi, fino ai giorni nostri. In Italia tale disciplina giunse negli anni Ottanta, ma trovò terreno fertile unicamente a partire dal decennio successivo, in cui nacque anche la prima associazione professionale di categoria, la Società Italiana di Counseling. 

Per usare le parole di Rogers «Il rapporto di Counseling è una situazione in cui calore umano, accettazione obiettiva e assenza di ogni coercizione o pressione personale da parte di un Counselor permette l’espressione più libera di sentimenti, comportamenti e problemi da parte del cliente». Il Counseling – termine che non trova un’efficace traduzione in italiano – è quindi una relazione di aiuto nella quale il Counselor, consapevole del fatto che ognuno di noi possiede la capacità di autodeterminazione necessaria per determinare il proprio  comportamento, offre un ascolto attivo al proprio cliente, affinché possa migliorare il rapporto con se stesso e con gli altri, sviluppare le proprie potenzialità, accrescere la capacità decisionale, modificare atteggiamenti indesiderati, aumentare la propria creatività, trovare la propria vocazione ecc. Il Counselor non giudica, non dà consigli, non dice al proprio cliente come comportarsi, ma lo accompagna nell’esplorazione della propria interiorità, delle proprie risorse, lo aiuta a riconoscere e comprendere i propri schemi comportamentali, a vedere i problemi da una prospettiva diversa, a imparare ad assumersi la responsabilità della propria vita, delle proprie scelte e anche dei propri fallimenti. 


Rileggendo quanto ho appena scritto, avverto la stessa insoddisfazione che provai la prima volta che tentai di spiegare che cosa fosse il Counseling e quale beneficio ne stessi traendo; mi sento come se, in un contesto non accademico, avessi cercato di parlare di una seduta di psicoterapia freudiana illustrando il passaggio dalla prima alla seconda topica o “il sogno di Irma”. 

Giunta al mio secondo approdo al Counseling, dopo essermi immersa nelle profondità più recondite di me stessa guidata da una psicoanalista junghiana, dopo aver terminato altri studi universitari e aver intrapreso una nuova professione, dopo essere passata dalla vita da single a quella di coppia, dopo aver scoperto di avere una malattia che ha notevolmente peggiorato la qualità della mia vita e per la quale non ci sono ancora cure, come posso spiegare che cos’è il Counseling? 

Credo che a tutti sia capitato di non trovare qualcosa –  magari le chiavi dell’auto, gli occhiali, un biglietto sul quale era stata appuntata un’informazione importante, il portafoglio, la carta di credito – di rovistare spasmodicamente tasche, borse, cassetti, pervasi dalla sensazione di disastro imminente, nel disperato tentativo di ricordare dove potremmo aver riposto ciò che stiamo cercando. Più ci sforziamo, più la memoria sembra abbandonarci, più diventiamo ciechi di fronte all’evidenza: non vediamo perché veniamo sopraffatti da un’emozione – sia essa timore, rabbia, sconforto, impotenza – che ci rende incapaci di guardare davvero. Piangiamo, imprechiamo, incolpiamo noi stessi o addirittura familiari, amici, colleghi, poi respiriamo, beviamo un bicchier d’acqua e quando ormai, rassegnati all’inevitabile, ci diamo per vinti ecco che tocchiamo la tasca della giacca e troviamo le chiavi, apriamo il cassetto e vediamo i documenti, mettiamo una mano nella borsa e tocchiamo gli occhiali. Eppure avevamo cercato scrupolosamente, avevamo guardato con attenzione. La verità è che l’oggetto della nostra ricerca era sempre stato lì, semplicemente non eravamo stati in grado di vederlo. 

Il Counseling per me è la ricerca di una consapevolezza interiore che mi permetta di ascoltarmi, di legittimare i miei bisogni, di assumermi la responsabilità della mia vita, di innescare un processo di cambiamento che scardini meccanismi comportamentali atavici e mi consenta di vivere in armonia con me stessa e con gli altri. 

La Counselor non mi analizza, semplicemente mi aiuta a guardare i problemi con la consapevolezza che anche le esperienze in apparenza più dolorose e difficili sono una parte fondamentale del mio percorso di crescita e possono essere superate. Quando mi chiede «Come stai?», «Su cosa vuoi lavorare oggi?», «Cosa senti nel tuo corpo?» mi invita a fermarmi, ad arrestare per un attimo il turbinio di quei pensieri e di quelle emozioni che trasformano una collina in una montagna invalicabile, a concentrarmi su di me, su ciò che provo, sulle mie esigenze. Può sembrare un paradosso, ma proprio guardando dentro di me, pensando ai miei bisogni, ho imparato a non deresponsabilizzarmi, ho compreso che la mia felicità, il mio equilibrio interiore, la mia realizzazione dipendono solo da me e da nessun altro. Il cambiamento non può avvenire dall’esterno, non posso chiedere all’Altro di vivere al posto mio, di sentire come sento io, di provare le mie emozioni, i miei sentimenti, le mie paure e nemmeno il mio dolore. 

Nel viaggio della vita, mi piace pensare al Counseling come un sentiero grazie al quale percorrere un altro tratto di cammino. Mi sono avventurata per periodi più o meno lunghi in altri sentieri, la psicoanalisi è stata uno di quelli, così come il training autogeno, il reiki, lo yoga, la meditazione… Non c’è stata un’esperienza giusta e una sbagliata: ognuna di esse mi ha insegnato qualcosa, mi ha aiutata ad avanzare anche solo di qualche passo. Non si tratta di esperienza inconciliabili tra loro anzi, lo yoga e la meditazione si stanno rivelando un utile supporto al Counseling e probabilmente senza la psicoanalisi non avrei mai raggiunto il grado di consapevolezza che mi ha indotta a bussare per la seconda volta alla porta della mia Counselor.

In fondo ciò che conta è sentirsi liberi di essere… e andare avanti.   

Velda A.