Il superpotere dentro di me! La sicurezza interiore
Alla scoperta delle emozioni giocando. Laboratori per bambini
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La rabbia è il fuoco della tua anima. Vuole far ardere il tuo cuore per mostrarti il dolore.
Sono sempre arrabbiata Leggi tutto »
«Sindrome fibromialgica cronica con dolore alla pressione in corrispondenza di tutti i tender points». L’inequivocabile diagnosi fu pronunciata la vigilia di Ferragosto, inappellabile come una sentenza passata in giudicato. Già in fase di colloquio anamnestico il reumatologo affermò che il mio quadro sintomatico era talmente evidente da non lasciare dubbi e da rendere quasi superflua la visita, che comunque eseguì scrupolosamente, appurando come l’esperienza non l’avesse ingannato. Mi ero presentata nel suo studio di mia iniziativa, indirizzata da una sua paziente fibromialgica, incontrata un paio di mesi prima nella RSA in cui era ricoverata mia nonna; le era bastato vedermi camminare zoppicando, devastata dal mal di schiena, avvolta in un foulard e in un pullover di cotone nonostante il termometro segnasse 35°, con un alone violaceo intorno agli occhi, per comprendere che verosimilmente condividevamo la stessa sorte. Non nutrivo particolare stima nei confronti dei medici, ma dovetti ricredermi quantomeno nei confronti di quell’uomo in camice bianco che, con spiazzante sincerità, affermò di non capire come a nessuno prima di allora fosse venuto almeno il sospetto di quale potesse essere il mio problema. Con altrettanta schiettezza mi spiegò che avevo appunto una forma seria di sindrome fibromialgica, una malattia invalidante la cui eziopatogenesi era – ed è – sconosciuta, per la quale non esistevano – e non esistono – cure; non sarei mai guarita, tutt’al più ci sarebbero state brevi fasi di quiete apparente, alternate alle crisi alle quali del resto ero ormai abituata. Mi illustrò l’importanza del riposo, della riduzione e gestione dello stress, dell’adozione di uno stile di vita confacente, dell’attività fisica dolce – ricordo che con imbarazzo usò l’espressione «ginnastica per la terza età». Non fu un fulmine a ciel sereno, in fondo me l’aspettavo, mentirei se sostenessi il contrario. In sala d’attesa avevo avuto modo di leggere su una rivista medica i sintomi principali e quelli cosiddetti collaterali della fibromialgia; mi ero così avventurata in una sorta di gioco che echeggiava grottescamente quello che si faceva da bambini con le figurine: “ce l’ho, ce l’ho, mi manca”. Se quei sintomi fossero stati figurine sarei stata prossima a completare l’album: li avevo quasi tutti. Dolore spontaneo, diffuso e lancinante ai muscoli, ai tendini ai legamenti, sensazione di bruciore, crampi, formicolii, dolore alla cervicale, stanchezza cronica, perdita della forza, contratture muscolari, rigidità, disturbi del sonno, problemi di circolazione con conseguente freddo alle estremità, acufeni, sindrome dell’occhio secco, fotofobia, mal di testa, disfagia, vertigini, gastrite, colon irritabile, cistite abatterica, dispea, dolore toracico, dolore alla mandibola e dolori facciali, tachicardia ed extrasistole, secchezza delle mucose e della pelle, dolore alle mani, parestesie, gola irritata, spasmi muscolari, dolore ai seni nasali come in caso di sinusite, prurito, intolleranze e allergie, ipersensibilità a qualunque stimolo esterno (sonoro, luminoso, olfattivo, tattile), spasmi incontrollati degli arti inferiori e superiori, mal di denti e ipersensibilità ai colletti dentari, ansia… la lista potrebbe continuare. Uscii dallo studio del reumatologo armata di una lettera con scritta nera su bianco la diagnosi, accompagnata dalla prescrizione di medicinali che denunciavano l’inadeguatezza della medicina di fronte a tale sindrome: antidepressivi, miorilassanti e antiepilettici. Non li comprai nemmeno. Tra le righe mi era stato detto chiaramente che per fare effetto avrei dovuto assumere dosaggi elevati, peraltro difficilmente compatibili con le mie numerose allergie ai farmaci. Percorrendo i labirintici corridoi che mi condussero di nuovo all’aria aperta, passai mentalmente in rassegna tutte le visite alle quali mi ero sottoposta, tutti i medici che mi avevano visitata – in alcuni casi sarebbe più corretto dire vista – nel corso degli anni. Peregrinazioni inutili sfociate in una serie infinita ed estenuante di umiliazioni. A prescindere dai disturbi fisici che avevo sopportato fino a quel momento, mi resi conto di quanto male mi avesse creato l’atteggiamento di superiorità e sufficienza mostrato dai sedicenti professionisti che avevo avuto la sfortuna di incontrare, di quanta sofferenza mi avessero creato la loro mancanza di empatia, la loro incapacità di ascoltarmi veramente, la superficialità con la quale avevano liquidato i miei sintomi. Per loro ero semplicemente “un’artista della somatizzazione”, una sorta di visionaria che nell’incapacità di gestire situazioni quotidiane e stimoli stressanti li trasformava in sintomi fisici. Come solitamente avviene nel caso di pazienti fibromialgici, clinicamente non vi erano alterazioni rilevanti a livello ematico, radiografico, ecografico, neurologico, perciò nessuno si era mai preso né il tempo né la pena di dedicarsi a una diagnosi differenziale, era sempre stato più facile liquidarmi, cercando di convincermi che il problema ero io. Alla fine persino i miei familiari avevano smesso di credermi, la stanchezza cronica veniva scambiata per pigrizia, per mancanza di volontà, mentre gli altri disturbi erano solo e soltanto «paturnie». Arrivai inevitabilmente a convincermene almeno in parte io stessa, tant’è che per la paura di essere giudicata e per dimostrare che non ero una scansafatiche mi sottoponevo a sforzi e a ritmi di vita insostenibili. Salendo in auto mi apparve chiaro che fino a quel momento mi ero scontrata contro un muro di inettitudine, ma che cosa sarebbe cambiato? Avevo una diagnosi: come avrei dovuto e potuto affrontare il futuro? Il primo passo da compiere mi sembrava evidente: cambiare sia il medico di base, sia il medico che mi seguiva privatamente da anni a causa della scarsa professionalità del primo. Non che fossero incompetenti o impreparati in senso assoluto, non stava – e non sta – a me giudicarlo, ma la loro visione nei miei confronti era stata distorta, il loro atteggiamento non sarebbe di certo mutato e comunque il rapporto di fiducia esistente – per quanto estremamente precario – si era spezzato. Confesso che rabbia, sconforto, senso di impotenza, sfiducia offuscarono a lungo il mio sguardo e le mie giornate. Mi sentivo come don Chisciotte nella sua strenua e vana lotta contro i mulini a vento. Era – ed è tuttora – maledettamente difficile spiegare la sofferenza celata dietro la fibromialgia; mi sentivo – e a volte mi sento – invisibile, perché sapevo che le persone che mi circondavano in cuor loro non smettevano di credere che in fondo
Il dolore ineffabile Leggi tutto »
Il perdono É possibile perdonare completamente? Quando si accetta profondamente la vita,non c’è nulla da perdonare, perché si guardano gli eventi accadere secondo la loro stessa legge.Non ci sono eventi indipendenti nel cosmo, nessun autore di azioni, nessuna responsabilità; quindi non c’è nessuno da perdonare, perché non c’è nessuno.Pensare di essere un’entità indipendente è una memoria, tutto ciò che succede è correlato al tutto. Tutto ciò che accade al vostro corpo fa parte delle leggi cosmiche, non c’è nulla di separato.L’idea di perdonare o di rimproverare qualcuno non serve a nulla.Quello che un tempo vi è sembrato difficile, inaccettabile, vi apparirà prima o poi come la chance della vostra vita, il momento più importante.Quello che vi ha più fatto maturare di più, la cosa che vi ha fatto capire l’identificazione e i limiti sono stati i drammi della vostra vita. Nella misura in cui li lascerete vivere completamente, essi punteranno verso la libertà, verso la gioia.A differenza delle sessioni di meditazione intenzionale, che spesso sono solo una fuga. Quando vi capita qualcosa di drammatico e lasciate vibrare lo shock dentro di voi, è come se riceveste un regalo.Bisogna lasciarlo vivere. A volte, è vero, non si ha la maturità per farlo, ma ad un certo punto si può gioire e amare dei regali che si sono ricevutie lasciare vivere tutte le memorie che costituiscono la vostra corporeità.Perché la situazione che si vuole perdonare o meno, si è incuneata da qualche parte nel corpo.Sdraiatevi e amate quella parte del corpo che è stata trascurata, rimandata, evitata per così tanto tempo. Lasciate che la tensione si esprima senza condannare o giudicare.Restate davanti ai fatti.Queste parti hanno molto da dire.Un grande grido di gioia si libererà dal corpo: guarderete la situazione per scoprire che la presunta causa della tragedia non è mai stata la causa.La Causa non è mai esistita. Éric Baret MoviMente / FB
Cosa sono i trigger emotivi? Sono situazioni o persone che provocano in noi reazioni eccessive e sproporzionate. Spesso sono l’espressione di antiche ferite che hanno bisogno di essere curate. Per disinnescare i nostri trigger ci viene in aiuto l’intelligenza emotiva
Come migliorare la tua Intelligenza Emotiva Leggi tutto »
L’intelligenza emotiva è il nostro “cuore pensante”, un insieme di abilità che ci permettono di vivere serenamente la nostra vita interiore e relazionale. Le principali competenze dell’intelligenza emotiva sono la consapevolezza di sé, la capacità di saper gestire le nostre emozioni e comprendere quelle degli altri.
Intelligenza Emotiva nella vita Leggi tutto »
lutto Mia cara amica, lei si chiede, e mi chiede, come possa la vita continuare dopo un evento così doloroso come solo può esserlo il distacco il dall’amato, dalla persona cioè alla quale abbiamo unito il nostro destino e con la quale abbiamo affidato tutti noi stessi nelle mani del futuro. […] Il problema è allora questo: giunto alla fine della mia vita che cosa mi ritrovo tra le mani? Se trovo solo il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato non sarà gran cosa. Ma potremmo trovare ben di più, ben di peggio. Ogni vita non vissuta accumula rancore verso di noi, dentro di noi: moltiplica le presenze ostili. Così diventiamo spietati con noi stessi e con gli altri. Intorno a noi non vediamo che lotta, cediamo e soccombiamo alle perfide lusinghe dell’invidia. Si dice bene che l’invidia accechi: il nostro sguardo è saturo delle vite degli altri, noi scompariamo dal nostro orizzonte. La vita che e stata perduta, all’ultimo, mi si rivolterà contro. Perciò, l’ultima cosa che vorrei dirle, mia cara amica, è che la vita non può essere, in alcun modo, pura rassegnazione e malinconica contemplazione del passato. É nostro compito cercare quel significato che ci permette ogni volta di continuare a vivere o, se preferisce, di riprendere, a ogni passo, il nostro cammino. Tutti siamo chiamati a portare a compimento la nostra vita meglio che possiamo. Mi creda.Sinceramente,suo Carl G. Jung Tratto da “Jung parla: interviste e incontri” Oltre il lutto e in onore di tutte le persone che ci hanno accompagnato o che abbiamo incontrato nel nostro percorso su questa terra. Con infinita gratitudine sapendo che saranno sempre nei nostri cuori. MoviMente lutto lutto lutto
La paura è un’emozione potente e spesso fraintesa. Molti la vedono come un ostacolo da superare o un nemico da sconfiggere. Tuttavia, accoglierla e accettarla può essere il primo passo fondamentale verso una vita più equilibrata e consapevole. In questo articolo, esploreremo come trasformarla da nemico a prezioso alleato per la nostra protezione e crescita personale. Comprendere la Natura della Paura La paura è un meccanismo evolutivo di sopravvivenza. Nel corso dei millenni, ha aiutato i nostri antenati a evitare pericoli e a perpetuare la specie. Anche oggi, in un mondo molto diverso, continua a svolgere un ruolo cruciale nella nostra vita quotidiana. Funzioni Protettive: Il Primo Passo: Accogliere la Paura Accettare la paura non significa arrendersi ad essa, ma piuttosto riconoscerla come parte naturale della nostra esperienza umana. Questo processo di accoglienza può essere suddiviso in diverse fasi: Trasformare la Paura in Alleata Una volta accolta, può essere trasformata in una potente alleata. Ecco alcuni modi per farlo: 1. Ascolto Profondo Prestare attenzione ai messaggi può rivelare informazioni preziose su noi stessi e sull’ambiente circostante. Spesso, la paura segnala aree della nostra vita che richiedono attenzione o cambiamento. 2. Guida per la Crescita Personale Le nostre paure possono indicare direzioni per la crescita personale. Ad esempio, la paura di parlare in pubblico potrebbe spingere a migliorare le proprie capacità comunicative. 3. Motivatore per l’Azione Può essere un potente catalizzatore per l’azione. Utilizzata correttamente, può fornire l’energia necessaria per affrontare sfide e superare ostacoli. 4. Strumento di Autoconsapevolezza Esplorare le proprie paure può portare a una maggiore comprensione di sé, dei propri valori e delle proprie priorità. Tecniche per Gestire la Paura Ecco alcune strategie pratiche per gestire le paure e trasformarla in un’alleata: L’Importanza del Supporto Mentre il lavoro interiore è cruciale, non dobbiamo sottovalutare l’importanza del supporto esterno. Condividere le proprie paure con persone fidate o cercare l’aiuto di un professionista può fornire nuove prospettive e strategie di coping. Conclusione: Abbracciare la Paura per una Vita più Ricca Accogliere e accettare la propria paura è un viaggio, non una destinazione. Richiede pratica, pazienza e compassione verso se stessi. Tuttavia, i benefici di questo approccio sono innumerevoli. Trasformando la paura da nemico ad alleato, non solo ci proteggiamo meglio, ma apriamo la porta a una vita più autentica, consapevole e appagante. Ricordate: la paura non è un segno di debolezza, ma una parte essenziale della nostra umanità. Imparando ad abbracciarla, possiamo scoprire una forza interiore che non sapevamo di possedere e vivere una vita più coraggiosa e piena. fb counseling
La Paura che protegge Leggi tutto »