Mente-Corpo

mente

Riportiamo questo interessante capitolo tratto dal libro: “Oltre i Confini. La Dimensione Transpersonale in Psicologia”, di Ken Wilber. Ci offre una visione olistica di Mente e Corpo a cui l’approccio del Core Counseling fa riferimento.

Il Livello del Centauro

Nel capitolo precedente abbiamo visto che raggiungendo e poi ripossedendo la nostra ombra proiettata, possiamo “espandere” la nostra identità da una persona priva di vigore a un ego sano. Potremmo colmare il divario, eliminare il confine tra la persona e l’ombra, e scoprire un senso di auto-identità più vasto e costante. E’ quasi come traslocare da un piccolo appartamento a una casa comoda. In questo capitolo passeremo dalla casa comoda a una residenza spaziosa, continuando il processo di base di dissoluzione dei confini, ma a un livello più profondo, analizzando alcuni dei metodi per espandere l’identità dall’ego (e la sua visione del mondo) al centauro, raggiungendo e ripossedendo i nostri corpi proiettati.

La nozione di ripossedere il corpo, inizialmente, può apparire a qualcuno una nozione assai bizzarra. Il confine tra l’ego e la carne è così profondamente inculcato nell’inconscio della persona media, che la sua reazione al compito che ci si propone di sanare il divario sarà un misto di imbarazzo e di noia. Essendo giunta a concepire il confine tra mente e corpo come immutabilmente vero, non riesce a immaginare perché tutti vogliano interferirvi ed eliminarlo.

Da quanto risulta, pochi di noi hanno perso la mente, ma molti di noi hanno perso il corpo, e mi dispiace dover dire che ciò deve essere preso alla lettera. Sembra quasi, infatti, che “Io” sia seduto sul mio corpo come se fossi un cavaliere sul suo cavallo: Lo batto e lo elogio, lo nutro, lo pulisco e lo curo quando è necessario. Lo sprono senza consultarlo e lo freno contro la sua volontà. Quando il mio corpo-cavallo si comporta bene, generalmente lo ignoro, ma quando diventa turbolento, il che capita molto spesso, estraggo la frusta per batterlo e riportarlo a una ragionevole sottomissione.

In verità, il mio corpo sembra proprio dondolare sotto di me. Non affronto più il mondo con il mio corpo, ma sul mio corpo. Sono quassù, sono laggiù, e fondamentalmente provo un disagio proprio per quanto è laggiù. La mia consapevolezza è quasi esclusivamente consapevolezza mentale: io sono la mia mente, ma posseggo il mio corpo. Il corpo è ridotto dal sé a una proprietà, qualcosa di “mio”, ma non “io”. Il corpo, in breve, diventa un oggetto o una proiezione, esattamente nello stesso modo in cui è successo per l’ombra. Si eleva un confine sull’organismo totale, cosicché il corpo viene proiettato come non-sé. Il confine è una scissione, una fessura o, per usare le parole di Lowen, un blocco: “Il blocco agisce anche per separare e isolare il regno della psiche dal regno del soma. La nostra consapevolezza ci dice che agiscono l’uno sull’altro, ma a causa del blocco, essa non si estende tanto profondamente da farci intuire l’unità sottostante. Infatti, il blocco crea una scissione nell’unità della personalità. Non dissocia soltanto la psiche dal soma, ma separa anche i fenomeni di superficie dalle loro radici nella profondità dell’organismo”.

La questione che ci riguarda fondamentalmente è la scissione dell’organismo totale, il centauro, di cui la perdita del corpo è soltanto il segno più visibile e tangibile. La perdita del corpo non è esattamente sinonimo della scissione del centauro, “l’unità sottostante”, ma è soltanto una delle manifestazioni che tale scissione può assumere. Ciononostante, si tratta della manifestazione su cui accentreremo la nostra attenzione in questo capitolo, in quanto si tratta della più facile da comprendere e della più semplice da comunicare. Vorrei ricordarvi, in ogni caso, che non intendo dire che il corpo per sé – ciò che chiamiamo “il corpo fisico” – è una realtà più profonda dell’ego-mentale. Infatti, lo stesso semplice corpo è il modo di consapevolezza più basso, così semplice che questo testo non lo comprende come argomento a sé. Il corpo non è “una realtà più profonda” dell’ego, come pensano molti somatologi, piuttosto l’integrazione del corpo e dell’ego è una realtà più profonda delle due separatamente, e tale integrazione è l’aspetto che metteremo in rilievo in questo capitolo, anche se, per motivi pratici, ci soffermeremo sul corpo fisico e sui suoi esercizi.

Come vi potrete aspettare, le ragioni per cui abbandoniamo i nostri corpi sono innumerevoli; per cui ora temiamo di rivendicarli. Alcune di queste ragioni sono già state sottolineate nella discussione sull’evoluzione dello spettro. A livello superficiale, ci rifiutiamo di rivendicare il corpo semplicemente perché pensiamo che non vi sia nessuna ragione per farlo: un gran trambusto per niente. A livello più profondo, temiamo di rivendicare il corpo perché ospita, in modo molto chiaro ed evidente, emozioni e sentimenti forti che, socialmente, sono tabù. Infine, si evita il corpo perché è dimora della morte.

Per tutte queste ragioni, e altre, generalmente una persona “adattata” ha proiettato da tempo il corpo come “oggetto là fuori”, o, potremmo dire, come oggetto “laggiù”. Il centauro è abbandonato e la persona si identifica come ego opposto al corpo. Ma, come tutte le proiezioni, l’alienazione del corpo si risolve soltanto nel corpo proiettato che ricomincia a tormentare l’individuo, colpendolo nei modi più penosi e anche peggio, con la sua propria energia. Poiché il corpo, a tutti gli effetti, si trova dall’altra parte del confine sé/non-sé, poiché non viene aiutato non essendo più un alleato, diventa naturalmente un nemico. L’ego e il corpo assumono un atteggiamento bellicoso, e inizia così un’intensa, anche se a volte sottile, guerra di opposti.

Poiché, come abbiamo visto, ogni confine crea due opposti in lotta tra loro, lo stesso vale naturalmente per il confine tra l’ego e il corpo. Vi sono molti opposti importanti associati a questo confine particolare, ma uno dei più significativi è quello del volontario opposto all’involontario. L’ego è la sede del controllo, della manipolazione, del volontario e dell’attività volontaria. Infatti, l’ego di regola si identifica soltanto con i processi volontari. Tuttavia il corpo, fondamentalmente, è un insieme di processi involontari ben organizzati: circolazione, digestione, crescita e differenziazione, metabolismo e così via. Se ciò può sembrarvi strano, notate i discorsi della persona media e ascoltate attentamente quali sono i processi ai quali si riferisce come a se stesso. Dirà “Muovo il braccio”, ma non dirà “Batto il cuore”. Dirà “Mangio il cibo”, ma non dirà “Digerisco il mio cibo”. Dirà: “Chiudo gli occhi”, ma non dirà “Cresco i capelli”. Dirà “Muovo le dita”, ma non dirà “Circolo il sangue”.

In altre parole, egli, in quanto ego, si identificherà con quelle azioni che sono volontarie e controllabili; e tutto il resto, tutte le azioni spontanee e involontarie, le ritiene in qualche modo non-sé e non degne di fiducia. Malgrado le evidenti nozioni contrarie, non sembra strano che vi identifichiate solo con una frazione di tutto il vostro essere? Non è strano che chiamiate “voi” al massimo una metà dell’organismo? A chi appartiene l’altra metà?

In un certo senso, l’ego si sente in trappola, vittima della volubilità indisciplinata del corpo. Non è quindi insolito trovare persone che si sentono imprigionate nel corpo, e bramano una situazione, nel momento attuale, o dopo la morte, in cui l’anima regna suprema, non ostacolata dalla fragile vulnerabilità della carne, incorporea o fluttuante nell’aria, coperta da niente di più materiale che una camicia da notte di raso. E’ facile capire come per molti la carne e il peccato siano esattamente sinonimi.

L’ego si sente intrappolato particolarmente dalla vulnerabilità del corpo al dolore. Il dolore, la sofferenza, la sensibilità intensa del tessuto vivente e dei nervi, terrorizzano abbastanza comprensibilmente l’ego, che cerca di allontanarsi dalla fonte del dolore, bloccando e rendendo insensibile il corpo così da ridurre la sua vulnerabilità alle vibrazioni dolorose. Sebbene l’ego non possa controllare le sensazioni involontarie del corpo, può imparare, e dunque lo fa, a eliminare la consapevolezza dal corpo, smorzandola e desensibilizzandola completamente. Ciò è quanto Aurobindo definiva lo “shock vitale”; l’impatto e la reazione della consapevolezza nei confronti della vulnerabilità e della mortalità della carne, una reazione che rende insensibile il corpo e distorce la consapevolezza. Questo affievolimento del corpo si verifica soltanto a un prezzo molto alto. Infatti, se è vero che il corpo è la fonte del dolore, è altrettanto vero che è la fonte del piacere. L’ego, uccidendo la fonte del dolore, uccide allo stesso tempo la fonte del piacere. Non più dolore … e non più gioia.

La persona normale, dunque, blocca il proprio corpo senza capire la natura di questa immobilizzazione. Non capisce neppure di essere immobilizzata. E’ come un caso diffuso di congelamento. La vittima del congelamento non capisce che lo sta subendo, perché l’area interessata è priva di sensazioni e non può quindi percepire la mancanza di percezioni: non sente niente, il che è veramente bello.

La mancanza diffusa di sensazioni è il risultato generale dello shock vitale, della nostra reazione al corpo e alla scissione del centauro. La scissione accompagna, a un livello o a un altro, anche l’ego sano. Infatti, fin quando vi identificate esclusivamente con l’ego, per definizione il vostro sé non comprende né integra i processi spontanei dell’organismo. Quindi, anche se ci siamo allargati dalla persona all’ego (tema trattato nel capitolo precedente; si riferisce al confine che divide l’ego in persona e ombra), potremmo accorgerci che manchiamo, in qualche misura, di una base di sensazioni significative, di una sorgente di consapevolezza intima e di attenzione alle sensazioni. Potremmo dunque essere portati a continuare il processo di discesa, di lasciarsi andare della nostra identità limitata al solo ego e scoprire un’identità sentita con tutto l’organismo psicofisico. Per il terapeuta che agisce a questo livello, ciò significa la scoperta di un sé autentico, esistenziale.

Possiamo studiare diverse modalità di intervento per eliminare il confine tra la mente e il corpo, in modo da scoprire di nuovo l’unità degli opposti che giace intorpidita nelle profondità del nostro essere. “Il divario non può essere colmato”, dice Lowen, “con una conoscenza dei processi energetici del corpo. La conoscenza stessa è un fenomeno di superficie e appartiene al dominio dell’ego. Bisogna percepire il flusso e sentire il corso dell’eccitamento nel corpo. Per farlo, comunque, bisogna arrestare la rigidità del controllo del proprio ego, in modo che le sensazioni corporee profonde possano raggiungere la superficie.”

Per quanto possa sembrare semplice, questa è proprio la difficoltà che quasi tutti incontrano cercando di ristabilire un contatto con il proprio corpo. Una persona non percepirà realmente le gambe, lo stomaco o le spalle, ma, per abitudine, pensa alle proprie gambe, allo stomaco e alle spalle. Se li rappresenta, ma non presta loro direttamente attenzione. Questo, naturalmente, è uno dei meccanismi responsabili in primo luogo della dissociazione del corpo. Bisognerebbe prestare particolare attenzione alla tendenza a concettualizzare le nostre sensazioni e fare uno sforzo ulteriore, per sospendere, almeno temporaneamente, la comune trasformazione in pensieri e raffigurazioni dell’attenzione alle sensazioni.

Un modo per iniziare a riallacciare il contatto con il proprio corpo è quello di distendersi sulla schiena, allungati su un tappeto o un materasso. Chiudete gli occhi, respirate profondamente e tranquillamente, e cominciate a studiare le vostre sensazioni corporee. Non cercate di sentire qualcosa, non forzate le sensazioni, lasciate che la vostra attenzione scorra lungo il corpo e notate se avete delle sensazioni, positive o negative nelle diverse parti del corpo. Per esempio, riuscite a sentire le gambe? lo stomaco? il cuore? gli occhi? i genitali, le natiche, il cranio, il diaframma, i piedi? Notate quali parti del corpo brulicano di sensazioni piene, forti e vitali, e quali parti sono invece insensibili, pesanti, prive di vita, deboli, tese o dolenti. Provate per circa tre minuti e notate con quale frequenza la vostra attenzione abbandona il corpo e divaga in fantasticherie. Non vi sembra strano che fermarsi sul proprio corpo per tre minuti possa essere molto difficile? Se non siete nel vostro corpo, dove siete?

Dopo questa fase preliminare, possiamo passare alla tappa successiva: ancora sdraiati con le braccia lungo il corpo, le gambe leggermente divaricate, gli occhi chiusi, respirate profondamente e lentamente, inspirando dalla gola verso l’addome, passando l’aria infine nello stomaco. Immaginate, se volete, che torace e stomaco abbiano all’interno un gran pallone che gonfiate completamente a ogni inspirazione. Il “pallone” dovrebbe gonfiarsi delicatamente nel torace per poi gonfiarsi con forza e del tutto nell’addome. Se non riuscite a sentire la forza delicata del pallone che si gonfia in queste aree, lasciate semplicemente che il pallone si gonfi un po’di più fino a estendersi in quell’area particolare. Espirate quindi lentamente e dolcemente, lasciando che il pallone si svuoti del tutto. Ripetete l’esercizio sette o otto volte, mantenendo all’interno del pallone una pressione delicata ma stabile, che gonfi l’addome fino a raggiungere il bacino pelvico. Fate attenzione a quale regione è tesa, tirata, dolente o insensibile.

Come percepite l’area gonfia, in un pezzo unico o divisa in segmenti, torace, addome, regione pelvica, ciascuno dei quali è separato dagli altri da aree e bande di tensione, rigidità o dolore? Nonostante questi dolori e disagi minimi, potreste iniziate a notare che la sensazione che si diffonde in tutto il pallone è una sensazione sottile di piacere e gioia. State realmente respirando di piacere e irradiando quest’ultimo in tutto il corpo. Dopo l’inspirazione, non fate fuoriuscire, e quindi terminare, immediatamente il respiro, ma trattenetelo come se fosse un piacere e lasciate che permei tutto il corpo. In questo modo, un piacere sottile scorre in tutto il corpo e diventa sempre più pieno ad ogni ciclo successivo. Se non ne siete certi, fate altri tre o quattro respiri, abbandonatevi al relativo piacere.

Potete ora cominciare a capire perché, secondo la teoria yoga, il respiro è una forza vitale – non in senso filosofico, ma per quanto riguarda le sensazioni. Inspirando, introducete una forza vitale che passa dalla gola all’addome, ricaricando il corpo di vita ed energia. Espirando, emettete e irradiate questa forza come piacere e gioia in tutto il corpo.

Potete continuare a respirare espandendo completamente il pallone, inspirando forza vitale dalla gola alla zona dell’ombelico (“hara”), e cominciando a percepire l’espirazione come una forza vitale che si irradia dall’addome a tute le parti del corpo. A ogni inspirazione dalla gola caricate lo hara di vitalità. Poi, con l’espirazione, notate fino a che punto potete sentire (o seguire) in ogni gamba la forza vitale o il piacere che si irradiano fino alle cosce, alle ginocchia, ai piedi. Alla fine dovrebbe arrivare fino alla punta dei piedi. Continuate l’esercizio facendo altri respiri, e poi ripetetelo con le estremità superiori. Riuscite a percepire la vitalità che si libera nelle braccia, nelle dita, testa, cervello e cranio? Espirando, lasciate che un delicato piacere attraversi il vostro corpo e il mondo in tutta libertà. Liberate il respiro, attraverso il corpo, nell’infinito.

    Unendo le varie fasi, arriviamo a un ciclo respiratorio completo: inspirando, passate il respiro dalla gola allo hara, caricandolo di forza vitale. Espirando, lasciate che questo sottile piacere scorra attraverso tutto il corpo fino al mondo, il cosmo, l’infinito. Fate la stessa cosa con tutte le sensazioni penose, i mali, le sofferenze e il dolore. Lasciate che l’attenzione alle sensazioni passi attraverso tutte le condizioni attuali, e le oltrepassi fino ad arrivare all’infinito, un momento dopo l’altro.

Passiamo ora alle caratteristiche specifiche di questo esercizio. Molto probabilmente sarete stati in grado di percepire il piacere vitale e l’attenzione alle sensazioni che circolano liberamente in tutto il corpo. Tuttavia, in ciascuna delle fasi di questo esercizio, potreste anche percepire certe zone di intorpidimento, insensibilità, o inerzia da una parte, o di fermezza, tensione, rigidità o dolore dall’altra. In altre parole, avrete percepito dei blocchi (micro-confini) del flusso completo dell’attenzione alle sensazioni. Molte persone provano costantemente tensioni e rigidità al collo, agli occhi, all’ano, al diaframma, alle spalle, o al fondoschiena. Spesso si sente intorpidimento all’area pelvica, ai genitali, al cuore, al basso addome, o alle estremità. E’ molto importante che scopriate nel migliore dei modi in che punto esistono questi blocchi. Per il momento non cercate di eliminarli. Nel migliore dei casi non vi riuscirete, nel peggiore dei casi, li irrigidireste ancora di più. Cercate soltanto di capire dove si trovano, e ricordate mentalmente la loro posizione.

Una volta localizzati tali blocchi, iniziate il processo di dissoluzione. Prima, però, cerchiamo di capire cosa significano tali blocchi e resistenze; queste aree o bande di rigidità, pressione e tensione ancorate in tutto il corpo. Abbiamo visto che, a livello dell’ego, una persona può resistere ed evitare un impulso o un’emozione negandone la proprietà. Attraverso il meccanismo di proiezione egoica, una persona può evitare di avere la consapevolezza di una particolare tendenza-ombra. Se si sente veramente molto ostile, ma nega la propria ostilità, la proietterà e sentirà quindi che il mondo lo sta aggredendo. In altre parole, proverà ansietà e paura, come risultato dell’ostilità proiettata.

Che cosa succede al corpo quando l’ostilità viene proiettata? Mentalmente si verifica una proiezione, ma fisicamente deve essersi verificato qualcos’altro, contemporaneamente, poiché mente e corpo non sono una dualità. Che cosa succede al corpo quando reprimete l’ostilità? Come sopprimete, a livello corporeo, una forte emozione che cerca di scaricarsi con qualche attività?

Nel caso diveniate molto ostili e adirati, potreste scaricare l’emozione con le seguenti attività: urlando, strillando, dimenando braccia e pugni. Queste attività muscolari sono l’essenza propria dell’ostilità stessa. Quindi, dovendo sopprimere l’ostilità, potete farlo soltanto sopprimendo fisicamente queste attività muscolari di scarico. In altre parole, dovete usare i muscoli per frenare le attività di scarico, o piuttosto dovete usare alcuni vostri muscoli per frenare l’azione di alcuni degli altri muscoli. Il risultato sarà una guerra di muscoli. Metà dei vostri muscoli lotta per scaricare l’ostilità menando colpi, mentre l’altra metà si sforza proprio di evitare questo. E’ come premere sull’acceleratore con un piede e sul freno con l’altro. Il conflitto si conclude con uno stallo, uno stallo molto intenso, con uno spreco enorme di energia per arrivare a un movimento finale uguale a zero.

Per sopprimere l’energia, serrerete probabilmente i muscoli della mascella, gola, naso, spalle, braccia, poiché questo è l’unico modo in cui riuscirete fisicamente a “trattenere” l’ostilità. L’ostilità negata, solitamente, come abbiamo visto, fluttua nella consapevolezza come paura. La prossima volta quindi che vi troverete presi da una paura irrazionale, notate che tutte le spalle si muovono avanti e indietro, segno che state contenendo l’ostilità, e dunque provando paura. Nelle spalle stesse, tuttavia, non sentirete più la tendenza a distendersi e ad aggredire; non sentirete più ostilità; sentirete solo una forte tensione, rigidità, pressione. Avete un blocco.

Questo è esattamente la natura dei blocchi localizzati nel corpo durante gli esercizi respiratori. Ogni blocco, ogni tensione o pressione nel corpo, fondamentalmente è un trattenere a livello muscolare qualche impulso o sensazione tabuizzata. Il fatto che si tratti di blocchi muscolari è un punto estremamente importante, punto sul quale ci soffermeremo molto brevemente. Per il momento, ci basta notare che questi blocchi e bande di tensione sono il risultato di due gruppi di muscoli che lottano l’uno contro l’altro (attraverso un mini-confine), un gruppo che cerca di scaricare l’impulso, l’altro che cerca di trattenerlo. Questo è un controllo attivo, un “trattenersi” o inibizione. Vi reprimete letteralmente in certe aree invece di liberare l’impulso associato a tale area.

Se scoprire dunque una tensione intorno agli occhi, state forse contenendo il desiderio di piangere. Se sentite una tensione dolorante alle tempie, forse state serrando le mascelle inconsapevolmente, per evitare di strillare, urlare o anche ridere. Una tensione alle spalle e al collo è indice di rabbia, collera o ostilità soppressa o controllata, mentre una tensione al diaframma indica che limitate e trattenete in modo cronico il respiro, nel tentativo di controllare la manifestazione di emozioni ribelli e l’attenzione alle sensazioni in generale. (Durante ogni atto di autocontrollo, molte persone trattengono il fiato.) La tensione al basso addome e alla regione pelvica, di solito, indica che avete eliminato tutta la consapevolezza della vostra sessualità, che avete irrigidito e contenuto questa area per evitare che vi circoli la forza vitale del respiro e dell’energia. Se ciò si verifica – per una qualsiasi ragione – escluderebbe anche molte sensazioni alle gambe. Una tensione, rigidità o mancanza di forza alle gambe indica generalmente mancanza di saldezza, stabilità, o equilibrio in generale.

Quindi, come abbiamo appena visto, uno dei modi migliori per comprendere il significato generale di un determinato blocco è quello di notare in che punto del corpo esso si verifica. Aree particolari del corpo liberano solitamente emozioni particolari. Probabilmente non strillerete con i piedi, non piangerete con le ginocchia e non avrete orgasmi con i gomiti. Per cui, se esiste un blocco in una regione determinata del corpo, possiamo presumere che è stata soppressa e contenuta l’emozione corrispondente. A questo proposito, eccellenti guide sono le opere di Lowen e di Keleman.

Supponendo che abbiate più o meno determinato l’ubicazione dei principali blocchi delle sensazioni, potete passare al compito veramente interessante: liberare ed eliminare i blocchi stessi. Anche se il procedimento di base è semplice da capire e facile da attuare, il raggiungimento dei risultati consapevoli richiede più fatica, sforzo e pazienza. Probabilmente avrete impiegato almeno 15 anni per costruirvi un determinato blocco, non dovrete quindi sorprendervi se non scomparirà definitivamente nel giro di 15 minuti. Come tutti i confini, ci vuole tempo per dissolverli nell’ambito della consapevolezza.

Se avete già notato tali blocchi, vi sarete accorti che l’aspetto più fastidioso è che per quanto energicamente proviate, non sembra che possiate riuscire ad allentarli, per lo meno non definitivamente. Con sforzi consapevoli, potrete arrivare faticosamente a qualche risultato per pochi minuti, ma la tensione (al collo, alla schiena, al torace, ecc.) tornerà a vendicarsi nel momento in cui dimenticate questo “rilassamento forzato”. Alcuni blocchi e tensioni – forse la maggior parte – rifiutano assolutamente di allentarsi. E tuttavia, l’unico rimedio che abitualmente usiamo in questo inutile tentativo è quello di diminuire le tensioni consapevolmente (metodo che, abbastanza paradossalmente, richiede uno sforzo alquanto estenuante).

Sembra, in altre parole, che questi blocchi ci capitino per caso, che si verifichino contro la nostra volontà, che siano del tutto involontari e non desiderati. E’ come se fossimo delle vittime che si sentono a disagio. Vediamo dunque da cosa dipende l’insistenza di questi ospiti non invitati. La prima cosa da tenere presente è che si tratta di blocchi muscolari, come abbiamo detto in precedenza. Ogni blocco, in realtà, è un contrazione, un irrigidimento, un serrarsi di un muscolo o di un gruppo di muscoli. Si tratta di gruppi di muscoli scheletrici e ogni muscolo scheletrico è controllato dall’attività volontaria. Gli stessi muscoli volontari che usate per muovere un braccio, per masticare, per camminare, per saltare, per dare un pugno, o per calciare, sono i muscoli che entrano in gioco in tutti i blocchi del corpo.

Ciò significa che tali blocchi non sono, per meglio dire non possono essere involontari. Non ci capitano per caso. Sono e devono essere qualcosa che noi facciamo attivamente a noi stessi. In breve, abbiamo creato questi blocchi deliberatamente, intenzionalmente e volontariamente, dato che sono costituiti unicamente da muscoli volontari. Fatto abbastanza curioso, non sappiamo di crearli. Serriamo i muscoli, e sebbene ci accorgiamo che sono rigidi e tesi, non sappiamo che siamo noi attivamente a tenderli. Una volta verificatosi questo tipo di blocco, non possiamo rilassare questi muscoli semplicemente perché, in primo luogo, non sappiamo che li stiamo contraendo. Sembra così che tali blocchi si verifichino da soli (come un qualsiasi altro processo inconsapevole), e noi sembriamo vittime disperate, schiacciate da forze “al di là” del nostro controllo.

La situazione complessiva equivale quasi esattamente alla situazione in cui io mi pizzico senza saperlo. E’ come se io mi pizzicassi intenzionalmente, dimenticando subito di essere stato io a pizzicarmi. Sento il dolore del pizzico e non riesco a capire perché il dolore non cessa. In modo analogo, tutte le tensioni muscolari ancorate nel mio corpo sono forme profondamente radicate di auto-pizzicamento. La questione fondamentale dunque non è: “Come posso arrestare o allentare tali blocchi?”; piuttosto: “Come posso accorgermi di star attivamente causandoli?” Se vi state pizzicando da soli e non lo sapete, e chiedete a qualcuno di far cessare il dolore, non servirà a niente. Chiedere come smettere di pizzicarvi, implica che non lo state facendo voi. D’altra parte, appena vi accorgete che vi state attivamente pizzicando, allora e solo allora, smetterete spontaneamente. Non dovete andare in giro a chiedere come smettere di pizzicarvi, allo stesso modo in cui non domandate come alzare la mano. Entrambe le azioni sono volontarie.

L’essenziale, quindi, è di avere la sensazione diretta del modo in cui tendo attivamente tali muscoli, e dunque la cosa che non faccio è cercare di rilassarli. Invece devo, come sempre puntare sull’opposto. Devo fare esattamente ciò che non avrei mai pensato di fare prima: devo cercare attivamente e consapevolmente di aumentare quella determinata tensione. Aumentandola volontariamente, rendo consapevole, invece che inconsapevole, l’attività di auto-irrigidimento. In breve, inizio a ricordare che mi stavo pizzicando da solo, che stavo letteralmente attaccando me stesso. L’avere ripetutamente questa conoscenza, fa liberare l’energia dalla guerra dei muscoli, energia che ora posso dirigere all’esterno verso l’ambiente, invece che all’interno, su me stesso. Invece di schiacciarmi e di attaccarmi, posso ora “attaccare” un lavoro, un libro, un buon pasto e, di conseguenza, imparare di nuovo il significato della parola aggressione: “muovere verso”.

Esiste un secondo aspetto altrettanto importante dell’eliminazione dei blocchi. Abbiamo appena visto che il primo consiste nell’aumentare consapevolmente la pressione o tensione serrando ulteriormente i muscoli interessati. In questo modo, facciamo consapevolmente ciò che prima facevamo inconsapevolmente. Ricordate che questi blocchi di tensione avevano una funzione molto significativa – inizialmente erano stati introdotti per eliminare sensazioni e impulsi che in un primo momento erano apparsi pericolosi, tabù o inaccettabili. Questi blocchi erano, e lo sono ancora, forme di resistenza a emozioni particolari. Per eliminare definitivamente tali blocchi, vi dovrete aprire alle emozioni sepolte sotto il crampo muscolare.

Dobbiamo sottolineare che queste “sensazioni sepolte” non hanno pretese selvaggiamente insaziabili o orgiastiche completamente opprimenti, e neppure sono stimoli demoniaci e bestiali di eliminare il padre, la madre e tutta la stirpe. Molti spesso, sono alquanto miti, anche se possono apparire drammatiche perché sono state a lungo contenute a livello muscolare. Di solito, c’è bisogno di uno sfogo di lacrime, di uno o due urla, della capacità di avere un orgasmo disinibito, un sano sfogo di collera vecchia maniera, o una serie di colpi, limitati, ma dati con collera a una pila di cuscini sistemati appositamente per l’uso. Anche se sorge qualche emozione negativa abbastanza forte – una collera molto pronunciata – ciò non deve mettervi in stato di allarme, poiché non costituisce una parte notevole della vostra personalità. In un’opera di teatro, quando entra sulla scena per la prima volta un personaggio secondario per recitare due sole battute, tutti gli occhi del pubblico si rivolgono a questo personaggio anche se rappresenta una parte insignificante di tutto il cast. Analogamente, quando si presenta per la prima volta un’emozione negativa sulla scena della vostra consapevolezza, potrete restare temporaneamente colpiti, anche se si tratta di una porzione del cast complessivo di emozioni. E’ molto meglio porla di fronte a noi, che non farla girovagare dietro il sipario. In ogni caso, questa liberazione emotiva, questo slancio di un certo tipo di emozioni, di solito si verifica da solo appena si inizia ad assumere consapevolmente la responsabilità dell’aumento dell’irrigidimento dei muscoli nei diversi blocchi del corpo. Appena iniziate a contrarre deliberatamente i muscoli interessati, tenderete a ricordare contro che cosa state contraendo i muscoli. Per esempio, se vedete un amico che sta per piangere e dite: “Qualsiasi cosa tu faccia, combattila!”, egli probabilmente scoppierà a piangere. In quel momento, egli sta cercando deliberatamente di trattenere un processo naturale dell’organismo, e sa che sta cercando di bloccarlo, così l’emozione non potrà essere facilmente sotterrata. Allo stesso modo, assumendovi deliberatamente la responsabilità dei blocchi, cercando di aumentarli, l’emozione inibita può iniziare a risalire in superficie e a mostrarsi.

Il procedimento completo di quest’esperimento di consapevolezza del corpo si svolge come segue: dopo aver localizzato un blocco specifico, per esempio tensione alla mascella, alla gola o alle tempie, accentratevi tutta la vostra consapevolezza, percependo dove si trova il blocco e quali sembrano essere i muscoli interessati. Poi, lentamente ma deliberatamente, iniziate ad aumentare la tensione e la pressione; in questo caso, serrando i muscoli della gola e stringendo i denti. Mentre sperimentate l’aumento della pressione muscolare, ricordatevi che non state semplicemente tendendo i muscoli, ma che state attivamente trattenendo qualcosa. Potete anche ripetervi (a voce alta se l’esercizio non interessa la bocca) “No! Non voglio! Sto resistendo!” Affinché percepiate veramente che quella parte di voi che sta esercitando la pressione, sta trattenendo qualche sentimento. Poi, potete lentamente rilasciare i muscoli, e allo stesso tempo aprirvi completamente a qualunque sentimento voglia risalire in superficie. In questo caso, potrebbe essere il desiderio di piangere, o di mordere, vomitare, ridere o urlare. Potrebbe trattarsi anche di un piacevole calore là dove si trovava il blocco. Per arrivare alla liberazione naturale di emozioni bloccate ci vuole tempo, fatica, apertura mentale e sano lavoro. Se avete un blocco tipicamente resistente, per ottenere risultati apprezzabili saranno necessari degli “allenamenti” giornalieri di 15 minuti per più di un mese. Il blocco si libererà quando l’attenzione alle sensazioni potrà scorrere in quell’area particolare in modo completo e perfetto senza ostacoli nel suo corso verso l’infinito.

Dalla semplice riconciliazione della separazione tra la mente e il corpo, il volontario e l’involontario, il voluto e lo spontaneo, risulterà un cambiamento notevole nel proprio senso del sé e del reale. Nella misura in cui riesci a percepire i processi involontari del corpo come te, potrai iniziare ad accettare come perfettamente naturali tutti i modi delle cose che non puoi controllare. Potrai accettare più facilmente l’incontrollabile e adagiarti facilmente nello spontaneo, avendo fiducia in un sé più profondo che va al di là del fragore della superficiale volontà e dell’ego. Imparerai che non hai bisogno di controllarti per accettarti. Infatti, il tuo sé più profondo, il tuo centauro, è al di là del tuo controllo. E’ volontario e involontario, manifestazioni entrambe perfettamente accettabili di te.

Inoltre, accettare come te stesso sia il volontario che l’involontario, significa che non ti senti più vittima del tuo corpo o dei processi spontanei e involontari in generale. Sviluppi un profondo senso di responsabilità, non nel senso che tieni sotto controllo consapevole tutto ciò che accade e dunque di cui sei responsabile, ma nel senso che non hai più bisogno di incolpare o attribuire a qualsiasi altro il modo in cui ti senti. In ultima analisi tu sei la sorgente profonda di tutti i processi volontari e involontari e non la vittima.

Accettare l’involontario come te stesso, non significa che puoi controllare l’involontario. Non sarai in grado di farti crescere i capelli più in fretta o di far smettere lo stomaco di brontolare o di far scorrere il sangue in senso contrario. Invece, con la comprensione che questi processi sono proprio come quelli volontari smetterai di avere il programma cronico ma infruttuoso di assumerti la responsabilità della creazione, di manipolare ossessivamente e controllare obbligatoriamente te stesso e il tuo mondo. Paradossalmente, questa comprensione comporta un maggior senso di libertà. Il tuo ego volontario può fare consapevolmente due o forse tre cose alla volta. Invece, il tuo organismo totale, senza alcun aiuto da parte dell’ego, in questo momento sta coordinando letteralmente milioni di processi alla volta, dalle operazioni complesse della digestione a quelle ancora più complesse della neurotrasmissione al coordinamento dell’informazione concettuale. Per questo lavoro ci vuole molta più saggezza che non per le trovate superficiali in cui l’ego si sente orgoglioso. Più riusciamo a rimanere nel centauro, più riusciremo a fondare e a dare alla nostra vita questo campo più ampio di saggezza e libertà.

La maggior parte dei nostri problemi e preoccupazioni di tutti i giorni derivano dal fatto di voler controllare o manipolare i processi che l’organismo governerebbe perfettamente senza l’intervento dell’ego. Per esempio, l’ego fuorviato cerca di fabbricare la felicità, piacere o semplicemente gioia nella vita. Noi sentiamo che il piacere è qualcosa che manca intrinsecamente alla situazione attuale e che dobbiamo fabbricarlo circondandoci di giochi e aggeggi sofisticati. Ciò rinforza l’illusione che la felicità e il piacere possono essere reperiti dall’esterno, un’illusione che da sola è capace di bloccare il piacere, cosicché finiamo con il lottare per qualcosa che ostacola la nostra gioia.

Ritornare al centauro significa capire che il benessere mentale e fisico circolano già nell’organismo totale psicofisico. “L’energia è una gioia eterna, e viene dal corpo”, disse Blake, e questa è una gioia che non dipende da ricompense o promesse esterne. Essa deriva dall’interno, ed è data liberamente nel momento presente. Mentre l’ego vive nel tempo, con il collo allungato ai guadagni futuri e il cuore che si lamenta per le perdite passate, il centauro vive sempre nel nunc fluens, il presente concreto e che scorre, il presente vivo che né si attacca a ieri, né piange per il domani, ma si realizza nella generosità di questo momento (non si tratta del presente eterno, il nunc stans, ma di un passo nella giusta direzione). La consapevolezza centaurica è un profondo antidoto per il mondo dello shock futuro.

Non soltanto potrete imparare ad accettare sia il volontario che l’involontario come voi stessi, ma potrete anche cominciare a capire che, a questo livello più profondo, volontario e involontario sono una cosa sola. Sono entrambe attività spontanee del centauro. Sappiamo già che l’involontario è spontaneo. Ma anche atti di volontà e decisioni intenzionali nascono spontaneamente. Cosa c’è dietro un atto di volontà? Un altro atto di volontà? Io voglio volere o la volontà succede e basta? Nella prima ipotesi poi, voglio io volere di volere? Le decisioni si creano spontaneamente, o decido io di decidere di decidere? In effetti, in qualche caso, anche l’attività volontaria e deliberata si imbatte nella spontaneità del centauro, una spontaneità che si trova alla base e che unifica sia il volontario che l’involontario. Da questo livello profondo il sé conduce, come disse Coomaraswamy, “una vita nel presente, non calcolata”.

Il risultato più importante di tutte le terapie che agiscono a questo livello è il cambiamento sottile ma diffuso nella consapevolezza man mano che l’individuo fa risorgere il centauro e scopre la sua precedente identità con esso. Questo potenziale non è soltanto l’insieme dei potenziali egoici e corporei, ma piuttosto un’interezza che supera largamente la somma di tutte le sue parti. Per dirlo con le parole di Rollo May: “Né l’ego, né il corpo, né l’inconscio possono essere ‘autonomi’, possono solo esistere come parte di una totalità. Ed è in questa totalità che la volontà e la libertà devono avere le loro basi”. I potenziali allargati di questa “totalità” sono comunemente conosciuti come quelli della auto-realizzazione (Goldstein, Maslow), autonomia (Fromm, Riesman), o significato nella vita (May). Il livello del centauro è il gran livello del movimento del potenziale umano, dell’esistenzialismo, della terapia umanistica, ognuna delle quali ha come presupposto di base l’integrazione di mente, corpo ed emozioni in un’unità con un ordine superiore, “una totalità più profonda”.

Non è questo l’ambito più adatto per una dissertazione sull’auto-realizzazione; la seguente citazione di Maslow è già completa. Essa sottolinea che cos’è l’auto-realizzazione, e quali sono i risultati se non si riesce a garantirla:

“Tutti noi abbiamo un impulso verso la migliore realizzazione dei nostri potenziali, verso l’auto-realizzazione, o umanizzazione o realizzazione umana. Ciò è una spinta verso la costituzione di un sé pienamente impegnato e autentico … un accento più forte posto sul ruolo dell’integrazione (o unità, interezza). Risolvere la dicotomia in un’unità più alta, più comprensiva, equivale a sanare la scissione nella persona e a renderla più unificata. Questo è anche un impulso al meglio, proprio alla cosa migliore che siete in grado di diventare. Se programmate deliberatamente di essere meno di quanto siete in grado di essere, allora vi avviso che sarete profondamente infelici per il resto della vostra vita.”

Come suggerisce Maslow, l’auto-realizzazione e il significato sono intimamente connessi. Proprio per questo motivo, i terapeuti centaurico/esistenziali sono profondamente interessati anche al significato fondamentale della vita. Non al significato egoico, ma qualcosa al di là. Una volta raggiunto un ego sano e corretto, cosa succede? Una volta conseguiti i vostri fini egoici, una volta che avete la casa, la macchina e stima per voi stessi, una volta accumulati beni materiali e riconoscimenti professionali, una volta che avete tutto questo, cosa succede? Quando la storia manca di significati per l’anima, quando la ricerca del successo materiale nel mondo esterno è privata di tutta la sua attrattiva, quando si fa strada in voi la certezza che solo la morte vi aspetta, allora?

Trovare un significato egoico nella vita vuol dire fare qualcosa nella vita, fino al punto più appropriato. Ma “oltre l’ego” significa oltre questo tipo di significato – un significato che si riferisce meno al fare e più all’essere. Come disse E.E. Cummings, “Se puoi essere, sii. Se non puoi, rallegrati e affronta gli affari degli altri, fa’ e disfa in relazione agli altri, finché non cadrai”.

Trovare un significato transegoico nella vita – significato fondamentale – vuol dire scoprire che i processi propri della vita stessa generano gioia. Il senso si trova non in azioni o possessi esterni, ma nelle intime correnti radiose del vostro stesso essere, e nella liberazione e relazione di queste correnti con il mondo, gli amici, l’umanità in generale, e l’infinito stesso.

Trovare un significato vero nella vita vuol dire anche accettare la morte nella vita, assistere alla temporaneità di tutto ciò che è, liberare a ogni espirazione il corpo nel vuoto. Arrendersi incondizionatamente alla morte a ogni espirazione, significa rinascere e rigenerarsi a ogni inspirazione. D’altra parte, indietreggiare di fronte alla morte e alla temporaneità di ogni momento significa ritrarsi dalla vita di ogni momento, poiché le due cose sono identiche.

Nel complesso, il livello del centauro è la sede di: 1) auto-realizzazione, 2) significato, 3) interessi esistenziali di vita e morte. La soluzione di tutto ciò richiede una consapevolezza ben integrata e attenta, una corrente di attenzione alle sensazioni che invada tutto il corpo e utilizzi l’essere psicofisico tutto intero. Identificarsi con ego e corpo significa, in realtà, cambiarli entrambi ponendoli in un contesto nuovo. L’ego può scendere fino a terra – suo campo e sostegno – e il corpo può salire fino al cielo – suo spazio e luce. Il confine, e la battaglia, tra i due è scomparso, un nuovo gruppo di opposti si è riunito, e si è scoperta un’unità più profonda. Per la prima volta potete incorporare la vostra mente e intendere il vostro corpo.