filo
il filo rosso
Alla conclusione del mio secondo anno di corso di Core Counseling, faccio un resoconto e celebro i cambiamenti avvenuti in me durante questo percorso. Rileggo le prime pagine del primo quaderno di appunti, i desideri e le paure riguardo al corso di counseling in quel 8 dicembre 2018: avevo paura di cambiare idea e di non sentirmi in grado. Bè ora questa paura è svanita. Non ho mai pensato di abbandonare questa strada di crescita e apprendimento e sento dentro di me una grande risonanza con temi, modalità, visioni… Insomma mi sono sempre sentita adeguata e al posto giusto. E non è una sensazione a cui ero molto abituata!
Mi sono subito innamorata del mondo della comunicazione e credo di aver fatti miei i presupposti del messaggio io, e del cercare di distinguere le interpretazioni dalle osservazioni. L’ostacolo più grande per me l’hanno rappresentato i giudizi, verso di me soprattutto e poi -mi sono accorta- anche verso gli altri. La mia mente era così piena di giudizi, norme, idee di giusto e sbagliato, che la realtà mi risultava sempre suonare con note sbagliate. Mi sembrava che quello che vivevo fosse non abbastanza adeguato, sempre un po’ da modificare, da criticare, da aggiustare… così difficile da accettare e accogliere semplicemente.
I temi giudizi e accettazione credo siano stati quelli su cui ho più lavorato, anche se c’è ancora tanto da migliorare e da scalfire. Già all’inizio del percorso, anche grazie agli incontri con Elena, mi sono resa conto di un’eredità pesante ricevuta dalla mia famiglia d’origine (soprattutto da mia mamma che a sua volta ha ricevuto da mia nonna) fatta di giudizi, morali e visioni molto rigide su come dovrebbero essere le cose mischiati a senso di colpa, sentimenti di rifiuto e non accettazione per sé stesse e per la realtà così com’è.
Riguardo a questa parte di me e di vita e scambi che mi riguardano quotidianamente, sono felice di vedere che in questi due anni c’è stata una bella evoluzione. Non appena ho cominciato a rendermi conto di quanto mia mamma mi facesse da specchio, di quanto certe mie/nostre dinamiche fossero disfunzionali e comunque difficili da cambiare, ho sentito il bisogno di proteggere la mia intenzione di trasformare le mie modalità e di isolarmi in un ambiente più tranquillo e libero da quell’imprinting.
Poi (dopo diversi episodi, tentativi, ricadute e pezzi di vita che hanno continuato a scorrere) questo autunno ho vissuto un bellissimo riavvicinamento con i miei genitori e ora sento nel cuore una grande gratitudine per la mia famiglia. Mi sembra di riuscire a osservare in modo più tranquillo e limpido le dinamiche che vedo in loro e che a volte ancora mi caratterizzano, mi sembra di riconoscerle senza venirne travolta e senza dispiacermene troppo ma apprezzando invece l’affetto, il bene e gli aspetti che anche prima sapevo esserci, ma che non riuscivo a sentire prima del resto.
Forse è troppo presto per dire che ho risolto i problemi con loro e sicuramente ne vivremo un sacco anche in futuro, ma sento una pace che in questi due anni non ho mai sentito e credo che i lavori sul perdono, sulla rabbia, sull’importanza del diro ‘no’ e chissà quali altri siano stati fondamentali.
Per quanto riguarda l’accettazione invece il campo di battaglia è stato la relazione con mio marito e la mia famiglia attuale. Un campo di battaglia non è una bellissima metafora, ma purtroppo è quella che calza meglio; i nostri caratteri, le nostre visioni, i nostri valori diversi hanno fatto sì che da molti anni le nostre personalità si scontrano e si riappacificano continuamente, cercando di trovare quell’equilibrio instabile tra l’atto dell’esprimere sé stessi e quello di accettare l’altro per quello che è. In tutti questi anni ho cercato l’equilibrio di un incontro vero, in cui poter accettare l’altro senza perdere me stessa e in cui allo stesso tempo poter esprimere me stessa, senza perdere l’altro.
La difficoltà di sperimentare questo equilibrio l’ho vissuta innanzitutto con mio marito e poi a volte anche coi miei bambini. Il tema dell’accettazione apre un sacco di porte, ma anche un sacco di abissi in cui cadere e da cui riemergere per poter imparare davvero ad accettare e accogliere. Ovviamente il primo oggetto di accettazione siamo noi stessi e in questo cammino non mi sento ovviamente arrivata.
Ma sento di aver fatto dei bei passi, grazie ai lavori sulle paure, sull’integrazione delle nostre ombre, grazie al focusing che insegna a ringraziare qualsiasi visione, cosa, ‘parte’ di noi il corpo presenti e alla mindfulness che insegna a stare con quello che c’è senza volerlo cambiare. Focusing e Mindfulness non sono ancora parti integranti della mia vita, ma attingo spesso alle loro visioni e indicazioni anche se pratico poco e in modo non sistematico.
Ho imparato a vedere, a nominare e a prendere per mano le mie ombre e mi sembra di essere molto meno permalosa di prima. Certo a volte me la prendo ancora quando mi fanno notare i miei difetti o io li vedo così chiari e nitidi e mi capita di sentire sensazioni di sfiducia, sconforto e vulnerabilità.. ma non mi sento più sopraffatta dall’essere come sono. Prima a volte mi sentivo così -ed ora lo so- ero bravissima ad alimentare da sola giudizio e rimprovero e non accettazione dentro di me.
Dopo due anni posso dire di aver un atteggiamento diverso nei miei confronti.. anche se non è stata una trasformazione facile. Piano piano ho preso coscienza di quanta poca stima, considerazione di me ho avuto in molte occasioni.. di quanto spesso mi sono fatta scavalcare dagli altri, dai loro bisogni, dalle loro idee su di me e dalle loro aspettative, di quanta forza imprigionata c’era comunque nel mio accettare, voler comprendere gli altri, del mio essere accondiscendente.. una forza che mi ha fatto sopportare il vivere una condizione di subalternità perché mossa dal mio bisogno d’amore, bisogno che alla fine muove sempre tutto e tutti.
Grazie alla lettura del libro di Marcia Grad “La principessa che credeva nelle favole” e grazie ad alcune sincronicità della mia vita personale, alla fine di questa estate ho sentito dentro di me una forte scossa. Mi sono riconnessa alla mia bambina interiore e come la protagonista del racconto, le ho promesso di non abbandonarla e tradirla più. Incredibilmente ho proseguito questo viaggio negli ultimi incontri di formazione, nell’affrontare i temi della ferita, della separazione e della simbologia corporea.
Riguardo a quest’ultimo strumento è stato interessante risalire al periodo esatto della comparsa di una dermatite/eczema sul mio cuoio capelluto e vedere come la chiave di lettura di una perdita di contatto, di un sentimento di separazione dalla propria tribù, di una disistima e un sentirsi sminuiti o rifiutati coincida proprio con il primo periodo (inizio 2019-inizio corso di Core counseling) dell’evoluzione di me stessa di cui parlo e coincida anche con i problemi con le mie tribù: le mie due splendide e impegnative famiglie.
Ho affrontato questi problemi, ho compreso quanto la mia accondiscendenza e il mio non esprimermi con forza e chiarezza abbia alla lunga creato difficoltà maggiori di quelle che voleva evitare, sia agli altri che a me stessa. Ho iniziato e dipanare la matassa della mia esistenza, delle mie relazioni dagli ingarbugli che inavvertitamente nel tempo si sono creati, nell’inconsapevolezza di credenze, visioni non chiare, interpretazioni. E ora sorrido leggendo la prima pagina del diario su cui ho riportato le considerazioni degli incontri di counseling con Elena.
Avevo disegnato un filo rosso, un gomitolo sfatto di lana rossa con a lato la scritta: “Ritrovare il filo e riaggomitolarlo per poter iniziare davvero a creare qualcosa di diverso…” Era il 29 gennaio 2019 ed ero all’oscuro di tanti degli strumenti, tecniche e visioni che hanno ampliato il mio sguardo. Era il 29 gennaio e mi sentivo schiacciata, incastrata in una vita fatta di momenti avviluppati e imbrogliati da una sensazione di non comprensione, non chiarezza, non direzione. Di delusione di fronte a questo continuo aggrovigliare, nonostante gli sforzi e le intenzioni.
Ora sorrido perché in questi due anni così densi di pensieri, fatti, emozioni a livello lavorativo, famigliare, personale sono cambiate tante cose e sono cambiata io. Certo se parlo con i miei famigliari non tutti riconoscono una nuova Silvia, e spesso l’aspettativa di essere più consapevole, capace di gestire le relazioni e le discussioni in modo più lineare ecc ecc, aspettativa degli altri -ma anche mia- si scontra con la reale imperfezione, imprecisione, incapacità che si ha nel passare dalla teoria alla pratica. Ma sento di aver camminato davvero tanto, di essermi messa in discussione e di aver messo in discussione tutto ciò che mi circonda.. seppur nella ricerca costante di accettare la realtà per quello che è.
Anche come coppia abbiamo vissuto l’ultimo anno in modo davvero intenso. E la ricerca e il desiderio di accettare e accogliere una persona che amo ma che è tanto diversa da me, è una sfida difficilissima ma affascinante.. e che mi permette di allenarmi a fare lo stesso con i miei figli, i miei fratelli, i miei amici e non. Comunque se nella quotidianità non è sempre facile accorgersi dei miglioramenti, li vedo bene rileggendo quell’augurio scritto in quel diario.
Ora che sento che sto per realizzare qualcosa di diverso a livello lavorativo, che i progetti per il futuro si stanno delineando, che posso sostenere -e anche ignorare se necessario- le opinioni degli altri e non ho più la paura di non poter essere counselor; ora che non metto più continuamente in dubbio me stessa ma cerco di sentire quello che provo e di vivere quello che viene, di stare nel flusso di quello che deve accadere, facendomi guidare da quello che sento dentro e non dai dubbi e dalle paure che sono nella testa.
Quindi direi che le metodologie apprese e gli eventi della vita, hanno fatto sì che dopo due anni di corso io sia pronta e concentrata per ultimare il terzo anno.
Non sono più una Silvia fragile che cerca di disfare il gomitolo della sua vita, perché spaventata, non sa da dove partire. Ora un capo del filo l’ho trovato e sono io. La voglia di costruire non ha più il sapore urgente del voler dimostrare agli altri o di volersi fare amare dagli altri, ma è la volontà pacata e tranquilla di voler esprimere me stessa e -come scrive Marcia Grad per la sua principessa- “di sviluppare […] i sogni che rivelano i desideri del mio cuore, perché cercano di rivelare il piano che l’universo ha elaborato per me.”
Silvia
Ringraziamo Silvia per la testimonianza della sua esperienza di formazione nel corso di Core Counseling. Auspichiamo ti sia di ispirazione.
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