Maggio 2015

Sintomi della Pace Interiore

Una tendenza a pensare e ad agire deliberatamente, piuttosto che spinti da paure basate su esperienze passate. Un’inconfondibile capacità di godersi ogni momento. Una perdita di interesse nel giudicare gli altri. Una perdita di interesse nel giudicare se stessi. Una perdita di interesse nei conflitti. Una perdita di interesse nell’interpretare le azioni degli altri. Una perdita della capacità di preoccuparsi. Frequenti e travolgenti episodi di apprezzamento. Sensazioni felici di connessione con gli altri e con la natura. Frequenti attacchi di sorrisi dal cuore. Incremento della sensibilità alle gentilezze ricevute ed un incontrollabile necessità di contraccambiarle. Un incremento della tendenza a permettere alle cose di evolversi, piuttosto che resisterle e manipolarle. Buona Pace Interiore con le attività di MoviMente! [display-posts post_type=”post” category=”nutrimente” tag=”null” layout=”layout2″ posts_per_page=”4″ id=””] interiore fb blog

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Mente-Corpo

Riportiamo questo interessante capitolo tratto dal libro: “Oltre i Confini. La Dimensione Transpersonale in Psicologia”, di Ken Wilber. Ci offre una visione olistica di Mente e Corpo a cui l’approccio del Core Counseling fa riferimento. Il Livello del Centauro Nel capitolo precedente abbiamo visto che raggiungendo e poi ripossedendo la nostra ombra proiettata, possiamo “espandere” la nostra identità da una persona priva di vigore a un ego sano. Potremmo colmare il divario, eliminare il confine tra la persona e l’ombra, e scoprire un senso di auto-identità più vasto e costante. E’ quasi come traslocare da un piccolo appartamento a una casa comoda. In questo capitolo passeremo dalla casa comoda a una residenza spaziosa, continuando il processo di base di dissoluzione dei confini, ma a un livello più profondo, analizzando alcuni dei metodi per espandere l’identità dall’ego (e la sua visione del mondo) al centauro, raggiungendo e ripossedendo i nostri corpi proiettati. La nozione di ripossedere il corpo, inizialmente, può apparire a qualcuno una nozione assai bizzarra. Il confine tra l’ego e la carne è così profondamente inculcato nell’inconscio della persona media, che la sua reazione al compito che ci si propone di sanare il divario sarà un misto di imbarazzo e di noia. Essendo giunta a concepire il confine tra mente e corpo come immutabilmente vero, non riesce a immaginare perché tutti vogliano interferirvi ed eliminarlo. Da quanto risulta, pochi di noi hanno perso la mente, ma molti di noi hanno perso il corpo, e mi dispiace dover dire che ciò deve essere preso alla lettera. Sembra quasi, infatti, che “Io” sia seduto sul mio corpo come se fossi un cavaliere sul suo cavallo: Lo batto e lo elogio, lo nutro, lo pulisco e lo curo quando è necessario. Lo sprono senza consultarlo e lo freno contro la sua volontà. Quando il mio corpo-cavallo si comporta bene, generalmente lo ignoro, ma quando diventa turbolento, il che capita molto spesso, estraggo la frusta per batterlo e riportarlo a una ragionevole sottomissione. In verità, il mio corpo sembra proprio dondolare sotto di me. Non affronto più il mondo con il mio corpo, ma sul mio corpo. Sono quassù, sono laggiù, e fondamentalmente provo un disagio proprio per quanto è laggiù. La mia consapevolezza è quasi esclusivamente consapevolezza mentale: io sono la mia mente, ma posseggo il mio corpo. Il corpo è ridotto dal sé a una proprietà, qualcosa di “mio”, ma non “io”. Il corpo, in breve, diventa un oggetto o una proiezione, esattamente nello stesso modo in cui è successo per l’ombra. Si eleva un confine sull’organismo totale, cosicché il corpo viene proiettato come non-sé. Il confine è una scissione, una fessura o, per usare le parole di Lowen, un blocco: “Il blocco agisce anche per separare e isolare il regno della psiche dal regno del soma. La nostra consapevolezza ci dice che agiscono l’uno sull’altro, ma a causa del blocco, essa non si estende tanto profondamente da farci intuire l’unità sottostante. Infatti, il blocco crea una scissione nell’unità della personalità. Non dissocia soltanto la psiche dal soma, ma separa anche i fenomeni di superficie dalle loro radici nella profondità dell’organismo”. La questione che ci riguarda fondamentalmente è la scissione dell’organismo totale, il centauro, di cui la perdita del corpo è soltanto il segno più visibile e tangibile. La perdita del corpo non è esattamente sinonimo della scissione del centauro, “l’unità sottostante”, ma è soltanto una delle manifestazioni che tale scissione può assumere. Ciononostante, si tratta della manifestazione su cui accentreremo la nostra attenzione in questo capitolo, in quanto si tratta della più facile da comprendere e della più semplice da comunicare. Vorrei ricordarvi, in ogni caso, che non intendo dire che il corpo per sé – ciò che chiamiamo “il corpo fisico” – è una realtà più profonda dell’ego-mentale. Infatti, lo stesso semplice corpo è il modo di consapevolezza più basso, così semplice che questo testo non lo comprende come argomento a sé. Il corpo non è “una realtà più profonda” dell’ego, come pensano molti somatologi, piuttosto l’integrazione del corpo e dell’ego è una realtà più profonda delle due separatamente, e tale integrazione è l’aspetto che metteremo in rilievo in questo capitolo, anche se, per motivi pratici, ci soffermeremo sul corpo fisico e sui suoi esercizi. Come vi potrete aspettare, le ragioni per cui abbandoniamo i nostri corpi sono innumerevoli; per cui ora temiamo di rivendicarli. Alcune di queste ragioni sono già state sottolineate nella discussione sull’evoluzione dello spettro. A livello superficiale, ci rifiutiamo di rivendicare il corpo semplicemente perché pensiamo che non vi sia nessuna ragione per farlo: un gran trambusto per niente. A livello più profondo, temiamo di rivendicare il corpo perché ospita, in modo molto chiaro ed evidente, emozioni e sentimenti forti che, socialmente, sono tabù. Infine, si evita il corpo perché è dimora della morte. Per tutte queste ragioni, e altre, generalmente una persona “adattata” ha proiettato da tempo il corpo come “oggetto là fuori”, o, potremmo dire, come oggetto “laggiù”. Il centauro è abbandonato e la persona si identifica come ego opposto al corpo. Ma, come tutte le proiezioni, l’alienazione del corpo si risolve soltanto nel corpo proiettato che ricomincia a tormentare l’individuo, colpendolo nei modi più penosi e anche peggio, con la sua propria energia. Poiché il corpo, a tutti gli effetti, si trova dall’altra parte del confine sé/non-sé, poiché non viene aiutato non essendo più un alleato, diventa naturalmente un nemico. L’ego e il corpo assumono un atteggiamento bellicoso, e inizia così un’intensa, anche se a volte sottile, guerra di opposti. Poiché, come abbiamo visto, ogni confine crea due opposti in lotta tra loro, lo stesso vale naturalmente per il confine tra l’ego e il corpo. Vi sono molti opposti importanti associati a questo confine particolare, ma uno dei più significativi è quello del volontario opposto all’involontario. L’ego è la sede del controllo, della manipolazione, del volontario e dell’attività volontaria. Infatti, l’ego di regola si identifica soltanto con i processi volontari. Tuttavia il corpo, fondamentalmente, è un insieme di processi involontari ben

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SCAMBI DI FOCUSING

di E.T. Gendlin, Ph.D., Università di Chicago Gendlin, E.T. (1987). Focusing partnerships. The Focusing Folio, 6(2), 58-78Traduzione di Maria Emanuela Galanti, Laura Talamoni, Roberto TecchioTesto originale alla pagina web http://previous.org/gendlin/docs/gol_2063.html Lo schema di scambio settimanale con una partner di Focusing (o di qualsiasi altra attività di aiuto) si è sviluppato abbastanza, tanto che è diventato una struttura regolare che possiamo descrivere e offrire. Vorrei descriverne la storia, i principi, la struttura e le nostre esperienze, compresi alcuni problemi. Negli ultimi anni sono rimasto colpito dal fatto che molti di noi hanno regolari partnership di Focusing – eppure questo fenomeno non è largamente conosciuto e incluso come parte integrante della conoscenza del Focusing. Molte persone hanno una partnership di Focusing. Alcuni si incontrano una volta alla settimana per un’ora, altri più spesso. Alcuni lavorano nello stesso ambiente e si dividono un tempo più breve tra loro, ogni giorno. Certe partnership avvengono per lo più al telefono, anche tramite telefonate a lunga distanza. Credo che ora il modello di partnership dovrebbe entrare a far parte di tutta la nostra formazione e delle nostre procedure regolari. È già da qualche anno che la rete tedesca di Focusing l’ha istituita. Da tempo abbiamo scoperto che, sebbene focalizziamo da soli per la maggior parte del tempo, aiuta notevolmente avere una partner regolare una volta alla settimana o più spesso. L’anno scorso ho proposto che i trainers di Chicago formassero partnership tra loro. Hanno pensato che il mio suggerimento fosse strano e fuori luogo; per un po’ non ho capito perché. L’ho capito quando ho saputo che avevano già partnership, alcune delle quali duravano da anni. Pensavano che gli stessi proponendo di avere nuove partners, e naturalmente non era appropriato che lo facessi, ma non sapevo che avessero già delle partners! Perché non ne parliamo di più? Mi sono anche reso conto che non sapevano – non glielo avevo detto – che una di loro è stata mia partner per alcuni anni. Una volta che si ha una partnership, c’è la tendenza a mantenerla privata. Molto bene. Ma abbiamo bisogno di sviluppare la partnership in un modello comprensibile pubblicamente. Ho capito che dobbiamo parlare e scrivere di più sul nostro modello di partnership. Spiegherò in seguito perché ritengo che un modello di partnership noto al pubblico sia vitale per il Focusing e per la società. Esso pone anche alcune interessanti questioni pratiche e teoriche. Ma prima vorrei raccontare un po’ di storia e presentare i due elementi essenziali del modello di partnership. 1. Una breve storia Dal 1969, quando l’organizzazione chiamata CHANGES (1) ha avuto inizio a Chicago, abbiamo formato le persone all’ascolto centrato sul cliente e, più recentemente, al Focusing. Molte persone hanno focalizzato e si sono ascoltate a vicenda. È stato a lungo il nostro modello quello di avere un grande incontro CHANGES una volta alla settimana, in cui l’ascolto era una delle tante attività. Ogni domenica in quelle occasioni chiedevo a qualcuno di ascoltarmi. Alcune persone organizzavano anche dei momenti di ascolto durante la settimana. L’organizzazione CHANGES continua e ha ancora questo schema di ascolto. Si tratta di uno schema regolare e comprensibile: ci si avvicina a qualcuno e si chiede “Ho bisogno di un po’ di tempo per essere ascoltato, saresti disposto a farlo? Resta inteso che la persona interpellata potrebbe essere d’accordo o meno e potrebbe anche chiedere la stessa cosa in cambio, oppure no. Nel modello generale di CHANGES c’è anche la possibilità di alzarsi in piedi nella riunione e chiedere o offrire qualsiasi cosa, compreso il tempo di ascolto. In questo schema la reciprocità non è stata considerata. Potreste essere disposti ad ascoltare qualcuno, ma poi chiedere a un’altra persona di ascoltarvi. Gli accordi di ascolto vengono presi di nuovo ogni volta. Fatto sta che avevamo questo modello stabile e ben noto. Uno schema ben definito e compreso è importante. Consente a qualsiasi persona di chiedere e di offrire. Senza un modello noto un individuo deve inventare una modalità e poi convincere qualcuno che quella cosa ha senso. Quasi nessuno ha la forza e l’energia per farlo – e men che meno quando si ha più bisogno di essere ascoltati. D’altra parte, se esiste un modello ben noto, allora non è difficile invitare qualcuno. Per qualche tempo, negli anni settanta, molti di noi hanno sperimentato lo schema RC ideato da Harvey Jackins e dal suo gruppo di Re-evaluation Counseling. Da allora, anche se CHANGES continua nella sua modalità, la maggior parte delle persone che fanno Focusing hanno preso molto dallo schema della partnership RC. Sembra migliore sotto diversi punti di vista. Piuttosto che creare ogni volta un nuovo accordo, questo dura alcuni mesi o per tutto il tempo che le partners desiderano. Si tratta di un modello a doppio senso; è assolutamente chiaro che il tempo disponibile è diviso a metà e condiviso equamente. Ogni persona è sia ascoltatore che ascoltato. Lo schema prevede anche alcune regole. Tornerò su queste regole più tardi. Abbiamo ampliato il modello RC, come descriverò. La D.ssa Ann Weiser, che è stata a lungo nella nostra organizzazione CHANGES e per molti anni è stata una formatrice di Focusing, ha lavorato per un po’ tempo allo sviluppo del modello di partnership a San Francisco e alla raccolta di ciò che sappiamo delle partnership. 2. Due principi del modello di Partnership a. La metà del tempo viene utilizzata e decisa da ciascun partner Il primo principio del modello è che la persona è responsabile del proprio turno. Questo significa non solo che io sono responsabile del mio processo psicologico, ma anche di come voglio usare il mio tempo. La mia metà del tempo è per me. Non ho bisogno di usarlo per focalizzare o per ascoltare. Lo uso come voglio. Nella mia metà del tempo potrei parlare di qualche situazione preoccupante e condividere qualcosa di privato. Potrei chiedervi di rispondere attivamente o potrei chiedervi di dirmi solo quando non mi seguite, in modo da poter ripetere qualcosa in altre parole. Potrei dire tutto quello che so su qualcosa o solo un po’. Potrei parlare di sentimenti profondi

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Libera dalle paure

Dopo il nostro percorso di counseling ho ritrovato la “Monica” di prima, quella sì fondamentalmente ansiosa, ma anche con la gioia per la vita, a volte con l’entusiasmo per le cose  piccole… E’ rimasto dentro di me il ricordo del periodo brutto, pieno di ansie e angosce, ma è rimasto come una cicatrice: è ancora visibile, ma è chiusa. In alcuni momenti sento ancora delle paure che so essere irrazionali, ma ho imparato a visualizzare il cassetto dove abitano e le chiudo lì, le conosco ora e non si prendono più tutti i miei pensieri. Mio marito, nonostante non abbia capito bene quello che è stato il mio percorso, è felice di vedermi stare bene, e “miracolosamente” sono passate anche le paure della sera della mia bambina! Ti devo davvero ringraziare per avermi accompagnata così amorevolmente e mi rassicura il fatto di poterti chiamare se mi capiteranno ancora momenti difficili, sento davvero una profonda gratitudine. Spero che qualcun altro possa capire che è semplice a volte stare meglio, basta volerlo e avere il coraggio di guardarsi dentro. Monica paure fb blog

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